giovedì 27 novembre 2008

Università, in decreto al Senato entrano norme "anti-baroni"


Nel decreto legge sulle disposizioni urgenti sulle università all'esame del Senato entrano nuove regole stringenti per l'avanzamento di carriera dei docenti universitari e sul finanziamento delle università sulla base di parametri di qualità.

Il decreto-legge 180, varato dal consiglio dei ministri lo scorso 6 novembre è stato licenziato oggi dalla commissione Cultura al Senato ed è all'esame dell'aula.
Per il ministro dell'Istruzione Mariastella Gelmini il provvedimento, che impone anche una linea di "tolleranza zero" verso le università con i conti in rosso, è una vera "svolta" nel sistema accademico italiano.
"Per la prima volta le carriere dei docenti non saranno legate a scatti automatici ma - come previsto dagli emendamenti approvati in commissione - al merito e alla ricerca effettivamente svolta", ha detto il ministro in una nota.

Le politiche sull'istruzione portate avanti dal governo hanno provocato forti proteste da studenti e docenti di scuole e università, che sono scesi in strada per diversi giorni con cortei e sit-in.

Tra le novità negli emendamenti approvati oggi in commissione, vi è anche quella che se i docenti non procederanno nell'attività di ricerca saranno esclusi dagli scatti biennali, dalle ripartizioni dei fondi Prin per la ricerca, dalle commissioni per il reclutamento delle strutture accademiche.

I docenti avranno l'obbligo di pubblicare l'elenco delle loro attività di ricerca scientifica in una apposita "anagrafe dei professori", mentre i rettori, in sede di approvazione di bilancio, dovranno pubblicare i risultati dell'attività di ricerca, della formazione e del trasferimento tecnologico all'università.

I fondi saranno destinati agli atenei in base ai meriti ed alla qualità della ricerca e della didattica.

Sembrano belle notizie ma... ricordiamoci che siamo in Italia! Fatta la legge...

Incrociamo le dita!

Bye!

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Fonte: Reuters

martedì 25 novembre 2008

Il piano di Obama


Senza dubbio il piano economico del neoletto presidente degli Stati Uniti Barack Obama segna un cambiamento profondo nell’approccio alla crisi dei subprime.

Finora gli interventi dall’Amministrazione Bush e del titolare del Tesoro Usa Henry Paulson hanno, infatti, puntato sul salvataggio diretto del sistema finanziario, mentre Barack Obama ha incentrato la propria campagna elettorale e il proprio programma sull’economia reale e sul consumatore statunitense.

Sicuramente le due fasi sono complementari e probabilmente ugualmente necessarie, tuttavia un deciso cambio di prospettiva fra le proposte repubblicane e quelle democratiche è innegabile... e segna, in pratica, la fine dell’era economica di Bush.
Con una inversione di marcia netta il ministro dell’Economia a stelle e strisce dichiara che il piano da 700 miliardi di dollari non includerà più l’acquisto di "asset tossici", ossia di quei titoli in varia maniera collegati ai mutui subprime che Washington aveva prima deciso in qualche maniera di "coprire" o comprare direttamente.
Se, infatti, l’ammontare del piano Paulson rimane invariato, le destinazioni dei fondi previste sono invece cambiate profondamente. L’attenzione dello Stato si sposta dai giganti di Wall Street all’economia reale, ai consumatori, ai mutuatari in difficoltà, alle famiglie americane, ai ceti medio bassi e a quegli stessi mutuatati ad alto rischio – il popolo dei suprimer – che sono all’origine della crisi.

Ma qual è esattamente la ricetta economica di Barack Obama?

Per quanto riguarda lo stremato mercato dei mutui americani il piano democratico prevede di scongiurare il pericolo di 2 milioni di pignoramenti ai danni di famiglie e lavoratori in difficoltà che rischiano comunque di non salvare i bilanci delle banche che hanno erogato i mutui in questione. Per affrontare questo problema le misure in cantiere sono molteplici. È previsto un fondo da 10 miliardi di dollari che vada in sostegno di questi "risparmiatori a rischio", vengono annunciati degli incentivi fiscali che favoriscano maggiormente i ceti medio-bassi, sono progettati dei cambiamenti al Chapter 13 della legge sulla bancarotta che al momento sembra orientato più in favore delle società che erogano i mutui che dei mutuatari. Sono infine previste anche delle nuove norme che rendano più chiari, trasparenti e confrontabili i vari mutui presenti sul mercato per evitare che si verificano delle nuove frodi ai danni dei consumatori.
Gli interventi promessi da Obama si allargano, però, a scenari ancora più ampi e agli stessi redditi dei ceti a rischio. Se si considera che circa il 70% del Pil americano deriva dai consumi delle famiglie che mostrano una flessione senza precedenti e che minacciano nuovi disastri nell’ambito delle carte di credito, si comprende subito che questa nuova attenzione al popolo americano è in qualche maniera necessaria.
Obama promette una politica fiscale più "equa" e crediti d’imposta da 500 dollari a lavoratore e da 1000 dollari a famiglia.
L’attenzione si sposta sul lavoro e il progetto "Making Work Pay" promette la cancellazione totale delle tasse per circa 10 milioni di lavoratori degli Stati Uniti, nuovi incentivi al credito al consumo, specialmente se finalizzato all’istruzione e sostegno alle famiglie, alla maternità, ai pensionati con introiti inferiori ai 50 mila dollari annui.

Il piano dell’ex senatore dell’Illinois non si ferma, però, sulla gente, ma ambisce a rilanciare l’economia tramite il duplice mezzo di un sostegno diretto alle imprese e il lancio di un nuovo piano di infrastrutture pubbliche negli Stati Uniti.
In particolare Obama prevede di investire circa 150 miliardi di dollari in un piano ultradecennale a sostegno dell’industria statunitense puntando sull’ambiente, sulle energie rinnovabili e sulla creazione di nuovi posti di lavoro.
Fin qui giungono le promesse economiche del nuovo presidente degli Stati Uniti che ha fatto della guerra alla crisi il cardine delle sue strategie. Quanto un’economia in ginocchio e un debito pubblico Usa portato dal piano Paulson oltre il 70% del Pil statunitense a una cifra con 15 zeri consentiranno di realizzare... è davvero un’incognita!

Obama si è circondato di esperti di economia fra cui membri della Sec (la Consob Usa), ex presidenti della Banca centrale americana, ex ministri dell’era Clinton e manager di prima linea (come l’amministratore delegato di Google Eric Schmidt e il presidente di Time Warner Richard Parson).
Tutti pronti a partire... Obiettivo: il salvataggio dell’economia a stelle e strisce!
Bye!
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martedì 18 novembre 2008

Il decreto Gelmini (Seconda parte)


LISTE E SORTEGGI

Su un punto, però, il decreto appare in palese contraddizione con lo spirito meritocratico che intende promuovere nelle università, premiando per la prima volta i comportamenti virtuosi (nella gestione di bilancio).
Lo stesso articolo 1 va infatti a modificare una tantum le procedure di reclutamento del personale universitario, sostituendo alle commissioni locali elette su base nazionale delle commissioni sorteggiate da una lista unica eletta su base nazionale, per un numero triplo dei membri richiesti.
Si consideri a titolo esemplificativo il caso delle discipline economiche: http://reclutamento.miur.it/bandi.html)

Tagliando corto... Complessivamente, un professore ordinario di economia politica ha una probabilità su quattro di trovarsi a essere commissario in un concorso di prima fascia. Per i concorsi da associato, gli stessi numeri diventano nove decimi come probabilità di essere eletto nella lista e tre decimi come probabilità di finire commissario in un concorso di seconda fascia.

Sommata alla precedente, perché nulla impedisce di essere estratti in entrambe le valutazioni comparative, ogni professore ordinario ha più di una probabilità su due di fare il commissario in qualche concorso. Ovviamente, le probabilità crescono significativamente nei casi delle discipline in cui il numero degli eleggibili è inferiore al fabbisogno delle commissioni.

Il destino quindi dell’accademia italiana nei prossimi sei-otto mesi sembra essere quello di fare concorsi a caso. Si obbietterà che questo non è colpa del nuovo sistema riformato, ma solo dell’eccessivo numero di concorsi banditi dalle università.
È falso, per due motivi.
Il primo è che a parità di numero di concorsi il fabbisogno di professori ordinari commissari è aumentato, essendo stati esclusi i professori associati da questo compito.
Il secondo è che nel sistema che è stato abolito coesistevano incentivi, positivi o negativi, a fare il commissario. Gli incentivi positivi nascevano dalla disponibilità di molti docenti universitari onesti, che richiesti di far parte di commissioni di docenti par loro, erano pronti, e in alcuni casi persino contenti, di partecipare alla selezione dei candidati più meritevoli. Gli incentivi negativi nascevano dalla disponibilità di docenti interessati (o succubi) a scambiare la loro partecipazione come commissari di un concorso di cui fossero predefiniti gli esiti in cambio di favori di un qualche tipo da riscuotere in futuro.
Il nuovo sistema ha cancellato la possibilità di entrambi i comportamenti. Il docente onesto si rifiuterà di partecipare a una commissione di valutazione, venendo a mancare la garanzia della compresenza di persone oneste a par suo. Il docente disonesto non può più offrire la sua partecipazione compiacente, in quanto ha una probabilità molto più ridotta di finire nella sede per la quale si auspicava il suo operato.
I concorsi, ammesso e non concesso che si riescano davvero a formare le commissioni, diventeranno un vero terno al lotto, senza avere alcuna garanzia di svolgimento maggiormente meritocratico.

Si ha l’impressione che per colpire la parentopoli dell’università italiana, intento nobilissimo e pienamente condivisibile, si sia inventato un marchingegno così complicato da rendere (intenzionalmente) impossibile ogni calcolo di convenienza, non solo dal punto di vista dei commissari ma anche da quello dei candidati. Non dimentichiamo che i candidati non hanno fatto domanda ovunque, ma soltanto in un massimo di cinque sedi, dove probabilmente ritenevano di avere qualche chance di conseguire una idoneità, sulla base di principi meritocratici. Correttezza avrebbe voluto che il nuovo sistema allargasse per loro la possibilità di presentare domande anche in altre sedi, riducendosi di fatto la probabilità di una selezione meritocratica.
Se il ministro Gelmini non ha fiducia nell’accademia italiana, al punto che per punire una parte di comportamenti opportunistici è disposta a far saltare alla radice l’intero meccanismo di reclutamento, allora forse era meglio una soluzione proceduralmente molto meno onerosa: estrarre a sorte i vincitori da un elenco di potenziali candidati, purché questi soddisfacessero alcuni requisiti minimali: avere un dottorato, aver scritto e pubblicato qualcosa. La qualità media di questa selezione non sarebbe molto diversa da quella che il nuovo sistema sarà in grado di produrre.

Bye!

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lunedì 17 novembre 2008

Il decreto Gelmini (Prima parte)


Il decreto legge n. 180 del 10 novembre 2008 recante “Disposizioni urgenti per il diritto allo studio, la valorizzazione del merito e la qualità del sistema universitario e della ricerca” ha introdotto alcuni cambiamenti importanti nella normativa sulle politiche di gestione delle risorse umane.
Cerchiamo di chiarire insieme qualche passaggio...

Lo spirito che ispira la manovra è complessivamente condivisibile, perché
1. rompe il principio del trattamento uniforme delle università
2. va incontro alle proteste studentesche che hanno caratterizzato la vita universitaria di molte sedi in queste settimane.

1. L'articolo 1, disposizioni per il reclutamento nelle università e negli enti di ricerca, prevede infatti il blocco del reclutamento di ricercatori e docenti per gli atenei che superino il tetto del 90% delle spese di personale in rapporto al fondo di finanziamento ordinario. Le stesse università non potranno usufruire dei fondi aggiuntivi previsti dalla Finanziaria 2007 per gli anni 2008-2009.

Viceversa, per le università che hanno contenuto la spesa del personale al di sotto del limite fissato del 90% è previsto un allentamento del blocco del turn-over: dal 20 al 50% della spesa del personale uscito nell’anno precedente, con l’ulteriore doppio vincolo che almeno il 60% delle risorse così liberate sia riservato alle assunzioni di ricercatori e che al massimo il 10% delle stesse sia riservato alle assunzioni di professori ordinari.
Bene!
...Tuttavia, in molti casi si tratta di una potenzialità più virtuale che reale, in quanto molti atenei che attualmente soddisfano il tetto di spesa, sono in realtà molto vicini al limite, e in assenza di finanziamenti aggiuntivi a copertura degli adeguamenti obbligatori, sono esposti al rischio di superamento.

Il principio della differenziazione di trattamento delle università sulla base del loro comportamento pregresso ispira anche l’articolo 2: misure per la qualità del sistema universitario.
Esso prevede infatti che una quota non inferiore al 7% del finanziamento ordinario e dei fondi straordinari venga ripartita sulla base di risultati legati alla attività didattica (“qualità dei risultati dei processi formativi”), alla attività di ricerca (“qualità della ricerca scientifica”) e all’uso efficiente delle risorse utilizzate (“la qualità, l’efficacia e l’efficienza delle sedi didattiche”).
Bene!
...anche se la declinazione concreta degli indicatori che permetteranno di misurare questi aspetti è rinviata a un decreto ministeriale da emanarsi entro fine anno.

Il terzo articolo, disposizioni per il diritto allo studio universitario dei capaci e dei meritevoli, incrementa di 65 milioni l’edilizia per residenze studentesche e di 135 milioni le borse di studio, precedentemente ridotte in Finanziaria, riducendo contestualmente i fondi per le aree sottoutilizzate.
Bene!
Su un punto, però, il decreto appare in palese contraddizione con lo spirito meritocratico che intende promuovere nelle università, premiando per la prima volta i comportamenti virtuosi (nella gestione di bilancio). Lo stesso articolo 1 va infatti a modificare una tantum le procedure di reclutamento del personale universitario, sostituendo alle commissioni locali elette su base nazionale delle commissioni sorteggiate da una lista unica eletta su base nazionale, per un numero triplo dei membri richiesti.

Interessati... magari entriamo nel dettaglio nel prossimo post.

E cmq, l'obiettivo di questo blog è quello di informare, capire e confrontarsi... dunque, spirito critico! Sotto a chi tocca!

A presto

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domenica 16 novembre 2008

G20: ok a piano azione per ridare fiducia a mercati

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''Un piano d'azione concreto e preciso per ristabilire la fiducia'': e' quanto hanno convenuto i paesi del G20, che si sono dati tempo fino al 31 marzo prossimo per elaborare ''una lista iniziale delle specifiche misure da prendere , incluse le azioni prioritarie'' per rilanciare la crescita e stabilizzare i mercati.

Ecco di seguito i punti principali del comunicato.

PIU' COOPERAZIONE: ''Siamo determinati a rafforzare la nostra cooperazione per rilanciare la crescita mondiale e raggiungere le necessarie riforme nel sistema finanziario globale''. ''Gli sforzi'' per sostenere la crescita e stabilizzare i mercati devono proseguire'', si legge nel comunicato, dove si precisa che ''significative azioni'' per stabilizzare i mercati e sostenere l'economia sono gia' state prese. ''Ma c'e' bisogno di fare di piu' per stabilizzare i mercati e rilanciare la crescita''.

RILANCIARE CRESCITA: ''Per affrontare il deteriormaneto delle condizioni economiche, servono politiche di ampio raggio, basate su una piu' stretta cooperazione economica''. Per il rilancio della crescita dovremo: continuare nei nostri sforzi e assumere le azioni necessarie per stabilizzare il sistema finanziario; riconoscere l'importanza del sostegno che puo' arrivare dalle politiche economiche e fiscali; utilizzare misure fiscali per stimolare la domanda nazionale; aiutare i paesi emergenti e in via di sviluppo e in questo contesto il ruolo del Fmi e' ''importante''; assicurare che Fmi e Banca Mondiale abbiano le risorse sufficienti; incoraggiare la Banca Mondiale e le altre banche dedite allo sviluppo a utilizzare tutta la propria capacita' per sostenere l'agenda dello sviluppo.

MERCATI FINANZIARI: Il G20 ha convenuto sulla necessita' di ''proposte concrete per la sorveglianza, la trasparenza e la regolamentazione dei mercati''. NUOVO INCONTRO: I leader del G20 si sono accordati per un nuovo incontro entro il 30 aprile al fine di verificare la messa in atto dei principi convenuti. A questo secondo vertice, che si svolgera' probabilmente a Londra, ne seguira' un terzo che, secondo quanto ha affermato il presidente francese Sarkozy, si svolgera' in Italia.

PIU' PESO A PAESI EMERGENTI IN FMI: I capi di stato e di governo del G20 hanno convenuto di accrescere la rappresentativita' dei paesi in via di sviluppo sia nel Fondo Monetario Internazionale sia nella Banca Mondiale. Piu' in generale il G20 e' convenuto sulla necessita' di rivedere le strutture nate da Bretton Woods.

CHIUDERE DOHA ROUND ENTRO ANNO: Il G20 chiede che sia raggiunto un accordo entro l'anno sul Doha Round.
Commenti...

BUSH: Il presidente americano, al termine del G20, ha detto che gli Stati Uniti hanno rischiato di essere colpiti da una depressione ancora peggiore della Grande Depressione. ''Un incontro non puo' risolvere da solo i problemi di una crisi mondiale''. ''Questo puo' essere solo il primo passo in una serie di incontri'', ha detto ancora il presidente americano sottolineando che I leader del G20 hanno concordato di ''coordinare e modernizzare'' i loro sistemi finanziari per fronteggiare la crisi economica. Bush ha detto, parlando al termine dei lavori, che le maggiori economie del mondo ''riesamineranno le regole che governano la manipolazione dei mercati e i tentativi di frode''.

DRAGHI: IN FUTURO FINANZA CON PIU' CAPITALE E REGOLE ''Si conferma la linea del rapporto del Fsf di aprile: il sistema finanziario del futuro dovra' avere piu' capitale e meno debito, piu' trasparenza e piu' regole''. Lo ha detto il governatore della Banca d'Italia e presidente del Financial Statbility Forum, Mario Draghi, commentando, a margine del vertice, le questioni delle regolamentazioni del G20.
''Chiara divisione del lavoro fra il Financial Stability Forum e il Fondo Monetario Internazionale, secondo le linee indicate nella lettera congiunta'', ha spiegato Draghi, sottolineando la richiesta ''di allargare la composizione del Fsf per ampliare la legittimita' della raccomandazioni''. ''Si conferma la linea del rapporto del Fsf di aprile: il sistema finanziario del futuro dovra' avere piu' capitale e meno debito, piu' trasparenza e piu' regole'', aggiunge Draghi, spiegando che e' stata avanzata la richiesta ''al Fmi e al Fsf di un grande programma di lavoro, nel campo della sorveglianza per il Fmi e della regolamentazione per il Fsf. Parte di questo impegno - ha detto - e' gia' oggetto di lavoro da parte del Fsf''.

Dopo le parole... largo ai fatti!

Bye!

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venerdì 14 novembre 2008

I dati confermano che l'attuale rallentamento, o recessione, non è solo un episodio congiunturale ma, almeno per l'Italia, è la continuazione di un trend negativo di crescita che ha cominciato a manifestarsi dalla metà degli anni Novanta.

Dopo il 2000, l'incremento del Pil è trainato solo dall'aumento delle ore lavorate totali. La produttività mostra un andamento declinante nel biennio 2006-07. In contrasto con le molte illusioni sulla rinnovata capacità di innovare delle imprese italiane.

Con raro tempismo, in coincidenza con l’annuncio che l’economia italiana è in recessione, l’Istat pubblica ventiquattro tabelle che aggiornano le informazioni sulla crescita aggregata e settoriale dell’economia italiana fino al 2007. Alcuni dei dati più importanti sono riassunti nella tabella 1 riportata sotto.

La tabella riporta dati relativi a tre periodi particolarmente significativi nell’attuale congiuntura, per l’economia italiana e per l’industria in senso stretto.

Nella prima colonna, si trovano i dati sulla crescita del Pil, delle ore lavorate, del Pil per ora lavorata per il 2006-07, un biennio in cui la congiuntura economica positiva aveva fatto ben sperare molti.

Nelle colonne (2) e (3) sono invece riportati i dati medi per periodi di tempo più lunghi, in modo da confrontare l’andamento delle variabili depurando il più possibile dall’effetto delle oscillazioni cicliche.

CONFERME DAI DATI

I dati della tabella confermano alcuni fatti noti sulla crescita economica italiana. L’attuale rallentamento o recessione non è solo un episodio congiunturale ma, almeno per l’Italia, è la continuazione di un trend negativo di crescita che ha cominciato a manifestarsi con evidenza più o meno a partire dalla metà degli anni Novanta.

Nella tabella, i dati del 1992-2000 ci sembrano dati da età dell’oro: +2 per cento di crescita del Pil e della produttività. Ma sono in realtà numeri assai più bassi di quelli registrati in Italia nei decenni precedenti. In questa luce, la ripresa 2006-2007 appare come una “ripresina”: nel 2006-07, anni in cui probabilmente l’economia italiana ha fatto meglio della “sua” media, il Pil è infatti cresciuto come nell’intero periodo 1992-2000, periodo che include anche la recessione del 1993. Vuol dire che la crescita sostenibile di lungo periodo per l’economia italiana è oggi probabilmente non lontana dall’1 per cento annuo.

La tabella ci indica anche che nel tempo è cambiata la natura del processo di crescita dell’economia italiana. Nel 1992-2000, la crescita del Pil era uguale alla crescita della produttività del lavoro (Pil per ora lavorata), a sua volta per due terzi indotta da una crescita della produttività totale dei fattori, cioè della rozza misura dell’efficienza che i macroeconomisti sono in grado di calcolare con i dati aggregati disponibili. Dopo il 2000, e anche nel 2006-2007, la crescita del Pil è invece solo trainata dalla crescita delle ore lavorate totali.

Infine, piuttosto sorprendentemente, il dato sull’importanza esclusiva dell’andamento delle ore lavorate per la crescita del Pil vale anche per l’industria nel suo complesso. Tutto ciò è in contrasto con molte delle osservazioni sentite negli ultimi anni sulla rinnovata capacità di innovare delle imprese italiane nel biennio 2006-07. Se le imprese hanno ripreso a innovare, questo dovrebbe tradursi in buoni dati sull’andamento della produttività nel settore industriale. Invece, vediamo che la produttività mostra addirittura un andamento declinante nel biennio.

O i dati Istat sono gravemente sbagliati oppure la buona o eccezionale performance di qualche impresa italiana ha in questi anni nascosto problemi di non poca entità per la maggioranza delle altre. In ogni caso, temi di grande rilevanza per la politica economica.

Bye!

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Fonte: LaVoce.it

mercoledì 12 novembre 2008

Crisi finanziaria: quali soluzioni?


Cosa fare nell'immediato per far fronte alla crisi finanziaria, in particolare per la realtà italiana? Condivisibile il piano di emergenza varato dai governi europei e dal governo italiano, soprattutto la scelta di articolare gli interventi per rassicurare i risparmiatori mediante garanzie sui depositi e norme che consentano al ministero dell'Economia la ricapitalizzazione di banche con inadeguatezza patrimoniale e di concedere garanzie alle banche per ottenere liquidità in situazioni di emergenza.

LA SITUAZIONE DELL'INTERBANCARIO

Pur se si stanno già osservando degli effetti benefici (l'Euribor scende) è possibile che le misure adottate non siano sufficienti per riavviare alla normalità il mercato interbancario.
L'Euribor è infatti ancora troppo elevato rispetto al tasso di rifinanziamento presso la Bce e il mal funzionamento del mercato interbancario crea ripetute carenze di liquidità in un sottoinsieme non trascurabile di banche e eccedenze in altre. Eccedenze di liquidità che, per timore di default della controparte, vengono depositate presso l'eurositema anziché essere scambiate con chi ha deficienze. Di qui l'elevato spread dell'Euribor rispetto al tasso di rifinanziamento presso la Bce e la necessità di ripetuti e crescenti rifinanziamenti di importo molto elevato da parte della banca centrale, con il conseguente emergere, per gruppi significativi di banche, di carenza di titoli collaterali.
Non si sono però ancora presentate in Italia situazioni di insolvenza come quelle osservate negli altri paesi europei, mentre il problema della deficienza di liquidità perdura e si trasmette all'economia reale tramite le restrizioni del credito e gli effetti dell'Euribor a tre mesi sui tassi bancari a breve e sui mutui a tasso variabile.

PERCHÉ LE MISURE PRESE POTREBBERO NON ESSERE SUFFICIENTI

Le recenti misure adottate dal ministero dell'Economia con i decreti legge n. 155/08 e 157/08 potrebbero trovare un limitato utilizzo a causa della loro dichiarata applicazione in "gravi crisi di liquidità" e alla conseguente riluttanza delle banche di dichiararsi in grave crisi. Quindi potrebbero non concorrere alla normalizzazione dell'interbancario. I

COSA SI PUÒ FARE?

Nasce da qui la proposta forse prefigurata nel discorso del governatore della Banca d'Italia del 31 ottobre scorso, che le banche centrali nazionali modifichino le regole dell'interbancario concedendo garanzia diretta alla controparte che offre liquidità sull'interbancario.
Coordinando le garanzie dello Stato ai prestiti delle banche centrali nazionali, i prestiti di collaterali e la valutazione delle banche centrali nazionali sulla adeguatezza patrimoniale del sistema bancario nazionale, le banche centrali nazionali potrebbero assegnare adeguate linee di garanzia.

Ciò porterebbe a due benefici effetti: in primo luogo, a una normalizzazione dell'interbancario riducendo gli interventi centrali. Secondariamente, si potrebbe ridurre l'attuale avversione delle banche a ricorrere agli strumenti eccezionali di ricapitalizzazione statale perché si attenuerebbero i timori negativi sulla liquidità dell'annuncio di intervento.

Il rischio è di fornire elevati incentivi di moral hazard che possono però essere limitati se questa misura è momentanea e viene regolamentata in maniera precisa la successiva uscita dello Stato dalle banche e nel contempo viene rapidamente avviata la riforma delle regole del sistema finanziario per un ritorno ben regolato alla liberà di mercato.

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Bye!

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Fonte: Lavoce.it

venerdì 7 novembre 2008

Il sistema bancario europeo si è salvato (almeno per ora...)


Dunque, il sistema bancario europeo si è salvato (almeno per ora...) dal collasso grazie a un intervento concertato degli Stati membri dell’Unione Europea, deciso in un summit urgente dell’Eurogruppo, con la partecipazione del Regno Unito.

Uno degli aspetti chiave dell’evoluzione del mercato bancario europeo dopo l’introduzione dell’euro è stata la tendenza alla concentrazione. Nella maggior parte degli Stati membri, le cinque banche principali rappresentano oggi la quota preponderante delle attività, e questi campioni nazionali si sono evoluti in grandi gruppi bancari integrati su scala internazionale. Paradossalmente, si tratta di gruppi che sono “troppo grandi per fallire”, ma anche “troppo grandi per essere salvati” da un qualunque singolo governo nazionale.

In ogni caso, se la capitalizzazione di tutti questi istituti fosse stata adeguata, la loro crescita internazionale non avrebbe di per sé contribuito alla crisi attuale. Ma grazie alle condizioni monetarie e finanziarie favorevoli del primo decennio di vita dell’euro, i regolatori nazionali hanno consentito ai grandi gruppi bancari europei di aumentare eccessivamente la leva finanziaria. Ciò ha messo in difficoltà le banche europee proprio nel momento in cui le condizioni finanziarie generali si sono improvvisamente deteriorate.

La situazione è tuttavia molto diversa da paese a paese.

I dati di seguito spiegano come le attività delle prime cinque banche inglesi rappresentino più di tre volte il Pil del Regno Unito, mentre quelle delle prime cinque italiane sono “solo” 1,3 volte il Pil del paese (questo spiega perché il governo inglese abbia insistito affinché gli altri Stati membri adottassero politiche simili alle proprie per la salvaguardia delle banche).

Prime cinque banche per Stato membro

Stato Attivi / PIL (%)
Francia 293
Germania 165
Italia 131
Regno Unito 313

Fonte: dati Bankscope.

Anche il grado di esposizione immediata delle banche alle turbolenze dei mercati, che si può approssimare con l’inverso del capitalization ratio (il rapporto tra capitale proprio e attività totali), cambia considerevolmente tra paesi. In Germania, le banche sono poco capitalizzate rispetto al resto d’Europa, con solo 2,5 euro di capitale per ogni 100 euro di attivo. La capitalizzazione delle principali banche italiane è circa il triplo: 7,4 euro per 100 di attivo.

Stato

Own Equity / Attivi (%)
Francia

3.5
Germania

2.6
Italia

7.4
Regno Unito

3.9


Ma le differenze vanno oltre: la deregulation degli ultimi decenni ha prodotto ovunque una espansione delle attività bancarie e para-bancarie, anche se non dovunque con la stessa intensità.
Il grafico mostra come negli anni Settanta-Ottanta il comparto dell’intermediazione finanziaria costituisse una piccola parte dell’economia, tra il 4 e il 5 % anche negli Stati Uniti. Quello che si osserva in seguito è una divaricazione: la quota dell’intermediazione finanziaria sul Pil raddoppia fino a raggiunger quasi il 9 % negli Usa, mentre è stazionaria in Italia e Germania, dove rimane sempre tra il 4-5 % del Pil.

L’intermediazione finanziaria ha potuto crescere così tanto per via della deregolamentazione, che tra l’altro ha consentito ad attori non bancari di svolgere funzioni tipicamente bancarie, spesso senza dover sopportare gli stessi vincoli regolatori. Al tempo stesso, le banche si sono dedicate ad attività diverse dal passato: di seguito vediamo come le grandi banche francesi e tedesche abbiano destinato ai prestiti una quota minore dell’attivo, mentre in Italia la quota restava attorno al 60 per cento.

Stato
Prestiti / Attivi (%)
Francia
29
Germania
23
Italia
61
Regno Unito
44

Fonte: dati Bankscope.

Naturalmente, non tutta la “nuova finanza” è da rigettare: ad esempio, l’Italia è rimasta indietro nel venture capital, con una raccolta di circa 2 miliardi nel 2004-06, rispetto ai 3 della Spagna, ai 5 della Francia ed ai 18 del Regno Unito (di cui nulla per la fase di start-up: si veda la tavola 2).

Flussi di investimento di Private Equity (2004-2006)

Fonte: European Private Equity & Venture Capital Association

Il sistema para-bancario è finalmente emerso in questa crisi, e ha mostrato la sua rilevanza ‘quantitativa’...Ma gli eventi dell’ultimo anno mostrano che è molto fragile .

Nel prossimo futuro, il settore finanziario si dovrà progressivamente ritirare entro i confini del sistema bancario in senso stretto. E nell’ambito del sistema bancario si tornerà alle attività tradizionali: raccolta di depositi, protetti da garanzie pubbliche, e prestiti al settore reale, ovvero imprese e famiglie. Il settore finanziario si contrarrà in alcuni paesi europei, come il Regno Unito e forse l’Irlanda, ma molto meno in altri, Italia inclusa.

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Alla prox!

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Fonte: www.lavoce.it