mercoledì 10 febbraio 2010

In attesa del Summit...



Riprendo un articolo di Wolfgang Münchau, pubblicato sul Sole 24 Ore... visto che anche a me, gli avvenimenti degli ultimi giorni, hanno riportato alla memoria gli attacchi speculativi alla sterlina e alla lira del settembre 1992.

I ministri delle finanze d'Europa e le banche centrali all'epoca reagirono con rabbia e incomprensione: la parità centrale della sterlina nel meccanismo dei tassi di cambio era tanto insostenibile quanto lo sono oggi le finanze pubbliche in Grecia o gli stipendi in Spagna.

I mercati finanziari odierni giustamente percepiscono che la zona euro non si sta occupando degli squilibri e sono oltretutto confusi dai vari segnali provenienti da Germania e Francia in relazione a un possibile salvataggio in extremis.

Probabilmente gli investitori sono giunti alla conclusione che le probabilità di un'epidemica insolvenza stiano aumentando. Al momento è assolutamente poco chiaro che cosa accadrebbe se uno dei paesi della zona euro dovesse essere incapace di rifinanziare il proprio debito. Si spera in un salvataggio in extremis... ma, come gia detto, la decisione non sembra scontata.

Poi, salvataggio... da parte di chi?
La zoppicante Unione Europea o il FMI (Fondo Monetario Internazionale)?

L'unione Europea non si trova nella condizione di poter fornire aiuti d'emergenza in maniera efficace, al contrario il Fmi ha l'esperienza, il personale e gli strumenti per potersene occupare.

Tutto vero, ma... i sostenitori di un salvataggio in extremis guidato dall'Fmi a ragion veduta ignorano il catastrofico segnale che ciò farebbe giungere ai mercati finanziari, in relazione alla direzione verso la quale si avvierà la zona euro. Dimostrerebbe che la zona euro è incapace di risolvere i suoi stessi problemi, al punto da poter perdere tale e tanta credibilità che gli investitori inizierebbero a trattarla non più come un'unione monetaria, ma come un sistema di tassi di cambio fissi con un orizzonte temporaneo definito.

Molto meglio sarebbe se la zona euro riuscisse a risolvere da sola i suoi problemi. Ciò imporrebbe una strategia che vada oltre quanto prescritto dal patto di crescita e di stabilità della Ue.

Il problema è uno solo: il patto in questione comprende procedure dettagliate inerenti a ciò che accade quando un governo non riesce a conformarsi ai desideri degli altri membri, ma non va oltre la sanzione massima prevista, una semplice ammenda.

Qual è però lo scopo di dare un'ammenda a uno stato insolvente? Infierire...?

In definitiva resterebbe l'insolvenza, alla quale si sommerebbe il dilagare di tale situazione. Perché dunque l'establishment politico europeo non lavora attivamente per definire solide politiche anticrisi?

Al momento, in assenza di un qualsiasi struttura, la minaccia di un default è trasmessa automaticamente dal primo paese vulnerabile a quello successivo. La settimana scorsa il mercato azionario ha fatto registrare un calo più consistente a Madrid e a Lisbona che ad Atene... E non dimentichiamo che altri paesi europei potrebbero essere altrettanto vulnerabili: l'Austria potrebbe ancora essere prosciugata dalla sua crisi bancaria, il Belgio ha un livello molto più alto d'indebitamento rispetto a Spagna e/o Portogallo e un settore finanziario fortemente dissestato dalla crisi globale.

A mano a mano che le preoccupazioni si propagano verso Nord, seri investitori potrebbero essere tentati di scommettere ingenti capitali su una scissione della zona euro.

Al summit speciale sull'economia, i leader dell'Unione Europea dovrebbero far convergere la loro attenzione sulla crisi, piuttosto che dibattere di vaghe riforme di microeconomia: l'Unione Europea deve inviare un segnale urgente e inequivocabile della sua determinazione a individuare e mettere a punto una solida linea politica anticrisi.

Non occorre che questa politica sia varata questa settimana stessa, ma il summit deve in ogni caso lanciare un chiaro segnale al mondo: la zona euro si occuperà e risolverà direttamente i propri problemi!


Bye!


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Fonte: Sole 24 Ore