venerdì 15 aprile 2011

Euribor e tassi Bce in salita, che cosa cambia per i mutui

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La lunga pausa espansiva orchestrata dalla Banca centrale europea è terminata. Al suo posto, sono in arrivo una serie di mini-strette che dovrebbero portare il costo del denaro intorno al 3% nell'arco dei prossimi 2-3 anni. Che siamo entrati in una fase di politica monetaria restrittiva lo ha indicato la stessa Bce che - dopo il rialzo dei tassi giovedì 7 aprile dall'1 all'1,25%, il primo da luglio 2008 - non ha escluso altre strette di qui a fine anno (tra le previsioni più accreditate fra gli esperti l'ipotesi è di un doppio rialzo, sempre da un quarto di punto: uno a luglio e il secondo entro dicembre, oppure a inizio 2012).

Che siamo entrati in una fase di politica monetaria restrittiva lo indicano anche i future sull'Euribor a 3 mesi che proiettano questo indicatore - amato e odiato da chi ha stipulato un mutuo a tasso variabile - intorno al 3% nel 2014.

Insomma, complice lo spauracchio dell'aumento dell'inflazione (il cui controllo entro la soglia del 2% resta l'obiettivo primario dell'attività della Banca centrale europea) e una lenta armonizzazione del quadro macroeconomico europeo (dopo la pesante recessione del 2009) il costo del denaro ha iniziato un cammino (seppur lento) verso la normalizzazione intorno alla media storica degli ultimi 10 anni, ovvero verso il traguardo del 3 %

Mutuo variabile: che fare?

Ne consegue, che i soggetti che sono alle prese con il rimborso di un mutuo a tasso variabile dovranno prepararsi a pagare rate via via più care. Il periodo di vacche grasse (con Euribor e tassi Bce ai minimi storici e rate ridotte ai minimi termini) è terminato. Ciò non vuol dire che la nuova fase che si sta aprendo sia, di riflesso, allarmante (posto che le banche non ne approfittino per aumentare gli spread). Questo perché i tassi restano decisamente più bassi della media storica (3%) e prima che vi arrivino - dando una sbirciata al mercato dei future - ci vorranno ancora almeno un paio d'anni.

Tutto, trattandosi di macroeconomia, è legato al quadro congiunturale dell'Eurozona: più forte sarà la ripresa, maggiore sarà la spinta verso la normalizzazione dei tassi... e viceversa.

Nel frattempo, il consiglio per chi sta rimborsando un mutuo a tasso variabile (prima di valutare un eventuale passaggio al fisso, attraverso lo strumento della surroga con un altro istituto qualora non vada in porto il tentativo di rinegoziazione con il proprio) è quello di effettuare uno stress test sulla rata del mutuo, ipotizzando come questa evolverebbe in ragione di vari ritocchi al rialzo (che probabilmente ci attendono).

Quanto aumenterà la tua rata? A questo proposito si è sviluppato un calcolatore per individuare quale impatto avrà sulle prossime rate l'aumento di 25 punti del tasso Bce annunciato dall'istituto di Francoforte nel direttivo del 7 aprile. Impatto che, a livello generale, potrebbe attestarsi intorno al 2,5% (aumento peraltro anticipato dall'andamento degli Euribor che hanno inglobato la stretta con una decina di giorni di anticipo). Per effettuare il calcolo della nuova rata è sufficiente inserire debito residuo, tasso applicato nell'ultima rata e durata residua del prestito ipotecario.

Allo stesso tempo chi, orientativamente, si appresta a stipulare un nuovo mutuo può dare un'occhiata a questa simulazione che proietta la variazione delle rate nell'eventualità di più strette, con tassi Bce fino al 3,5 %. Oggi il parametro a 3 mesi - a cui è agganciata la maggior parte dei nuovi mutui a tasso variabile erogati - si è portato all'1,33%, sui livelli di maggio 2009. Si tratta del 20esimo rialzo consecutivo per l'Euribor, l'indice che esprime il tasso di interesse interbancario a cui le banche si prestano capitali fra loro, fissato ogni giorno, dal lunedì al venerdì, dall'European Banking Federation alle ore 11.

Mutuo a tasso fisso che fare?

Chi ha intenzione di surrogare un variabile a fisso o di stipulare un nuovo mutuo a tasso fisso deve tener conto che anche gli Eurirs - i tassi a cui sono agganciate le rate dei mutui fissi - sono in risalita. Questo perché la risalità dei tassi fa risalire anche i rendimenti del Bund tedesco al cui andamento sono indirettamente collegati gli Eurirs. L'indice a 20 anni è balzato al 4,07% (rispetto al 3,9% del mese scorso e al 2,67% di fine agosto). Si tratta di un valore vicinissimo alla media di questo parametro degli ultimi 10 anni (4,12%). Pertanto, affidandosi alla statistica, si ricava che i mutui a a tasso variabile sono ancora a sconto (Euribor all'1,32% rispetto a una media del 3%), mentre quelli a tasso fisso si stanno attestando su una sorta di "fair value virtuale", un valore corretto ipotetico.

Quindi, al netto di eventuali spropositati spread o alti costi impliciti, in questa fase i mutui a tassi fisso (che in molti casi hanno superato il tasso finale del 5%) risultano più cari di circa 250-300 punti base rispetto ai variabili (che viaggiano intorno al 2,5% ma sono destinati a salire e via via ad annullare questo forte vantaggio iniziale).


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Fonte: Sole24Ore

giovedì 6 gennaio 2011

Obiettivo 2011: riavviare un circolo virtuoso


La prima metà del 2011 sarà decisiva per l'euro. Tra gennaio e la primavera sarà messa alla prova la capacità di tutti i paesi critici di finanziarsi sul mercato a costi sostenibili. Già nelle prossime quattro settimane bisognerà collocare titoli governativi della zona euro per 80-100 miliardi. Gli ultimi giorni del 2010 hanno visto tassi in aumento anche sui titoli italiani.

Per tutti nei prossimi mesi ci saranno difficoltà, turbolenze e delusioni. Ma alla fine dovrebbe prevalere la principale lezione del 2009-2010: i costi politici e finanziari di un fallimento della moneta unica sono troppo alti perché i governi - anche quello tedesco - non continuino a intervenire. Lo faranno tuttavia imponendo delle "condizioni" che rendano tollerabili i costi degli aiuti per i paesi finanziatori e che li garantiscano dal non ripetersi di rischi di insolvenza in futuro.

Grecia, Irlanda e Portogallo saranno isolati finanziariamente attraverso le risorse già previste dagli ultimi Consigli europei e da quelle che è in grado di muovere la Banca centrale europea. Entro il 2013 dovranno ridurre gli squilibri e le inefficienze rendendo credibile il finanziamento dei loro debiti.

Per l'Italia, che finora è ben riuscita a tenersi al riparo dalla crisi più acuta, le implicazioni del dopo-crisi sono molto impegnative, vanno al cuore della vita pubblica e dovrebbero rappresentare la piattaforma di ogni riflessione politica.
Spagna, Italia e Belgio dovranno rassicurare da sé i mercati, con impegni fiscali stringenti per la riduzione nel medio termine del debito pubblico. I meccanismi di risoluzione della crisi saranno resi permanenti, ma a essi si aggiungeranno sistemi di sorveglianza che terranno d'occhio in ogni paese oltre alla finanza pubblica anche l'andamento dei prezzi, il costo del lavoro, gli indici di produttività e gli squilibri con l'estero.

Dentro questa cornice c'è il quadro attuale dell'Europa con i paesi attorno alla Germania e nel nord che hanno riformato i mercati, aperto i confini, investito in conoscenza e che crescono al 3-4%, e gli altri paesi che invece arrancano. Questi ultimi devono aumentare la produttività e possono farlo in due modi diversi: riforme oppure deflazione.

E l'Italia?

L'Italia è messa molto meglio della Grecia, è vero, ma la natura delle sfide non è molto diversa: analoga la perdita di competitività, analoghi i volumi del debito pubblico in rapporto al Pil. Anche se le imprese e le famiglie italiane sono molto più solide di quelle greche, le ricette politiche non sono tanto diverse. Dall'autunno inoltre sono un po' peggiorate le previsioni di crescita dell'economia italiana e ultimamente è aumentato il costo di finanziamento del debito. Il governo si è impegnato a ridurre il disavanzo dal 5% del Pil al 2,7% entro il 2012 (si tratterebbe del punto di svolta per il debito che dal 2013 tornerebbe a scendere sul Pil) ma se davvero la crescita dovesse essere più debole del previsto anche le entrate fiscali ne risentiranno.
In questo senso i due problemi italiani - alto debito e bassa crescita - si legano: le gravi debolezze strutturali hanno portato a una severa perdita di competitività e a tassi di crescita poco sopra lo zero e questo rende difficile ridurre il debito. In un certo senso l'aggiustamento interno alla struttura dei prezzi è in corso da dieci anni in Italia: la differenza tra la forte perdita di competitività misurata in termini di costo del lavoro e quella molto minore in termini di prezzi all'export rivela che all'interno della società italiana sono in atto profondi conflitti tra lavoro ufficiale e lavoro non ufficiale, tra settori emersi e sommersi, tra attività domestiche e quelle esposte alla concorrenza internazionale, tra risorse che servono solo a controllare il consenso di oggi e quelle necessarie agli investimenti del domani. È la via conflittuale alla sopravvivenza italiana nella globalizzazione.

Quella che è una sensazione di confusione, un disegno impressionistico, è in realtà proprio la vera fotografia del paese. Grecia e Irlanda ne usciranno grazie all'Europa, ma di fatto sospendendo la democrazia rappresentativa e sostituendola - con un gradimento dei cittadini, si badi, molto maggiore del previsto - con organismi tecnici: la Commissione europea, la Banca centrale europea, il Fondo monetario internazionale.

Era in fondo una facile profezia: la crisi finanziaria sarebbe diventata una crisi economica e questa a sua volta avrebbe prodotto una crisi della società che, se non fosse stata affrontata con coraggio, avrebbe infine prodotto una crisi della politica. Il 2011 è l'ultimo anno per evitarlo.


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Fonte: LaVoce.it