martedì 30 dicembre 2008

BUON 2010! (...Dimenticate il 2009!)

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Eh si... finanziariamente parlando, Il 2009, sarà (a detta di molti) un anno da dimenticare.
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Capitolo Mutui & Finanziamenti: prima di tutto da gennaio dai “cataloghi prodotto” di molte banche, anche grandi e importanti, spariscono i mutui al 100%. Sarà già un miracolo ottenerne uno al 70-75%.

Nel frattempo aumentano gli spread (ricarico che ogni banca decide di aggiungere al tasso di base quale proprio ricavo) magari non a catalogo o nella pubblicità, ma nella realtà sì.
Maggiorazioni che tendono ad assorbire la diminuzione del tasso di rifinanziamento BCE del 2,5% e l'Euribor in discesa libera e oggi intorno a quota 3,00% dopo avere raggiunto quasi il 6% solo due mesi fa. In pratica il margine di vantaggio è di solo un punto, un punto e mezzo percentuale, facendo risaltare ancora una volta i mutui italiani come i più cari in Europa.

Da dimenticare anche mutui sul lungo o lunghissimo periodo: le banche hanno problemi nell'oggi e non rischiano sul domani. Tra l'altro, le banche italiane pare non siano a rischio crack, anche se un Gruppo ci è andato vicino...

A chi toccherà nel 2009?

Nel 2009 ci sarà spazio per nuovi interlocutori, soprattutto imprenditori edili, capaci di erogare mutui, con finanziarie o banche, insieme all'abitazione. Con questi interlocutori ci vogliono non due occhi aperti, ma almeno un paio in più. Non sarà facile nemmeno trovare case in affitto: o meglio, sarà facile trovarle, ma sempre a prezzi ancora elevati, soprattutto nei grandi centri urbani. Ben vengano le iniziative di enti locali che offrono fondi di garanzia per giovani e giovani coppie.

Chi poi vuole vendere casa, anche perché non ce la fa più a pagare il mutuo, forse dovrà attendere almeno un anno in più. L'Agenzia del Territorio ha evidenziato un calo del 13% delle vendite con previsioni fosche nei prossimi mesi, soprattutto nel settore residenziale (-14,1%). Nelle 10 principali città e nelle rispettive province le compravendite hanno subito una consistente contrazione soprattutto nei comuni minori (-16,7% mediamente) piuttosto che nei capoluoghi (-8,9% mediamente).

E quindi eccoci al 2010, quando si spera che inizi una inversione di tendenza...

Bisognerà attendere il 2010 per vedere realmente scendere i mutui, le bollette di gas, luce, telefono, riscaldamento e conseguentemente le spese condominiali. Se è vero che l'Autorità per l’energia ha annunciato che nel primo trimestre 2009 la spesa su base annua della famiglia tipo diminuirà di circa 25 euro per l’energia elettrica, di 11 euro per il gas naturale e di 115 euro su base annua per il Gpl per riscaldamento, i valori sono, appunto "su base annua" e il vantaggio reale si avrà alla fine dell'anno e quindi dal 2010.

Prendetevi un anno sabbatico nel 2009, se potete, non stressatevi con problemi inerenti la casa, se potete. Pensate soprattutto al lavoro, a tenervelo stretto, se lo avete, a inventarlo se non lo trovate.

Roubini (... conosciuto per le sue previsioni di crisi finanziaria mondiale) lo ha sempre sostenuto: "Non investite nel mattone o nell'oro, ma nel lavoro." In questo nessun risparmio!

I migliori Auguri a tutti voi!


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Fonte: osservatoriofinanziario.com

sabato 27 dicembre 2008

Mutui, i consumatori contro le banche.



Il calo dei tassi di interesse porta con sè una "dote" insperata per le famiglie italiane, un bonus che può arrivare fino a 3.400 euro all’anno. A tanto ammonta il risparmio a vantaggio di chi ha contratto un mutuo a tasso variabile, calcolato fra il momento di massimo rialzo dell’Euribor e il valore attuale.

Secondo le associazioni dei consumatori le banche non trasferiscono però sui clienti tutti i vantaggi della discesa dei tassi di interesse, con l’Abi (Associazione Bancaria Italiana) che ricorda invece come gli spread dei mutui in essere siano fissati dal contratto e quindi impossibili da modificare.

Il picco dell’Euribor a tre mesi è stato toccato il 9 ottobre scorso al 5,39%:
a quei valori la rata di un mutuo da 200.000 euro a 30 anni (a tasso variabile con uno spread dell’1%) aveva raggiunto un massimo di 1.250 euro al mese!

Oggi, dopo 50 sedute di cali consecutivi e l’Euribor sceso al 3,08%, la stessa rata vale 964 euro, con un risparmio di 286 euro al mese, pari a 3.432 euro l’anno.

Se i risparmi sono più consistenti per mutui di lunga durata ed importo elevato, non sono certo da trascurare quelli su mutui a durata e importo minori:
per esempio, su un finanziamento da 100.000 euro a 20 anni il risparmio è di "soli" 129 euro al mese (dai 739 euro di ottobre, la rata è scesa a 610 euro), pari comunque a 1.548 euro all’anno.

Per chi accende un nuovo mutuo, però, rimane l’incognita spread, ovvero la maggiorazione applicata sul tasso Euribor, che varia in maniera decisa da banca a banca. Attraverso le simulazioni di MutuiOnLine, si nota come gli spread applicati su un mutuo da 100.000 euro a 20 anni varino da un minimo dello 0,52% ad un massimo di un +1,39%. Con una rata che di conseguenza può passare da 585 a 631 euro, con una differenza di 46 euro al mese e 552 euro in un anno.

Ed è proprio su questo punto che si concentrano i consumatori:«Le banche continuano a manovrare a proprio piacimento gli spread, che adesso continuano ad aumentare» in modo da «conservare elevati i propri guadagni», dichiarano Adusbef e Federconsumatori, sottolineando che i risparmiatori italiani sono già costretti a «pagare sul mutuo uno 0,54% in più rispetto alla media europea». Alla fine di un mutuo di 100.000 euro a 30 anni, spiegano le sigle, «un mutuatario dovrà pagare 14.000-16.000 interessi in più».

Comunque, gli spread sui mutui in circolazione sono definiti dal contratto e, pertanto, non possono essere oggetto di variazione (se non ristrutturando il finanziamento).

Sui nuovi mutui, invece, l’ABI sottolinea come non sia «incoerente» che in una fase caratterizzata da elevata rischiosità come questa gli spread vengano ritoccati al rialzo: con il crollo della produzione industriale, infatti, aumenta il rischio di fallimento delle imprese e con esso anche quello associato ai lavoratori impiegati nelle stesse, che possono vedere il proprio reddito ridotto a causa della cassa integrazione o addirittura azzerato in caso di licenziamento.

Ricapitolando, per i finanziamenti gia in essere... tranquilli (…ma occhi aperti) e … per i nuovi… provate a spuntare il tasso migliore (Euribor+Spread) valutando diverse offerte (...il bello della concorrenza!).

Bye!

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martedì 23 dicembre 2008

Aspettando la svolta...



Sfere di cristallo spente, poche idee molto condivise per il 2009. Sarà perché di fronte alla spianata dei mercati azzerati dalla bufera — mica finita, i tuoni si sentono ancora — le opinioni non possono che convergere.

Eccole:

- azioni nervose con rischi di ulteriori ribassi e anche di forti rally, ma il ritorno del Toro non sarà immediato.
- Investitori in fila per salire sulla diligenza sicura dei titoli di Stato più solidi, prima che la scure dei banchieri centrali riduca al minimo i rendimenti.
- Bond societari così ingiustamente depressi, tanto da meritare interesse anche da parte degli strategist azionari che li considerano outsider dell’anno.
- Liquidità regina per un altro po’, anche nei portafogli di chi avverte che il crollo dei tassi di interesse (già a zero negli Stati Uniti) costringerà comunque il sistema a tornare verso asset più remunerativi.
Dove ritroveremo l’equilibrio?

Il primo punto fermo — ma lo vedremo bene solo con il senno di poi — sarà il minimo delle Borse. Quello che, secondo le statistiche storiche delle ultime recessioni, precede di tre-sei mesi il baratro finale degli utili prima della ripresa economica. E che apre la strada, si spera anche questa volta, al rientro del Toro in Borsa.

Quando?

Non prima dell’estate, dicono i più. Le azioni, che in Europa prezzano oggi 7-8 volte gli utili dell’anno in corso sono in saldo , ma non abbastanza. Perché tutti si aspettano un ulteriore crollo dei profitti nel 2009 nell’ordine del 30%.

Su quali titoli puntano gli esperti?

Sui difensivi ad alta cedola per i prossimi mesi. I money manager europei intervistati da Merrill Lynch in Europa per il consueto sondaggio mensile nel mese di dicembre dicono di avere in portafoglio un vero impegno solo su cinque settori: telecom, farmaceutici, assicurazioni, utilities, energia.

Ma c’è anche chi pensa di dover già scegliere tra gli industriali sani, quelli che ora soffrono per il gelo della recessione, ma che potrebbero andare forte non appena il mercato decide di anticipare la ripresa dell’economia reale.

Ma l’idea condivisa più originale è l’utilizzo intelligente dell'anomalia corporate bond", le obbligazioni emesse dalle società quotate e non: un terreno difficile — va detto — dove però fioriscono rendimenti a due cifre, a fronte di solidità che in molti casi non meriterebbero di pagare un simile premio al rischio. Dunque, rendimenti elevati rispetto ai governativi privi di rischio. Chi vuole maneggiarli, però, dovrà mettere in conto un incremento del tasso di insolvenza rispetto ai bassi livelli attuali.

L’incognita maggiore per il mercato obbligazionario è quella dei tassi: oggi, scomparsa quasi all’improvviso la paura dell’inflazione, il sistema viaggia a manetta per sconfiggere la deflazione (cioè la caduta "avvitata" dei prezzi).

Dunque...
Borsa in ripresa... ma non prima dell’estate, Tassi sempre più giù, favoriti i Btp medio lunghi. I prestiti societari trovano nuovi fan (ma occhio al rischio)
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Bye!
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Fonte: Corriere della Sera

venerdì 19 dicembre 2008

Crack Madoff (continua)


Bernard Madoff, ex presidente di Nasdaq, rischia di peggiorare una crisi che già è stata ribattezzata come la peggiore dal 1987. Gli hedge fund gestiti da Madoff hanno provocato perdite per oltre 50 miliardi di dollari, gettando pesantissime ombre sui bilanci delle maggiori banche e facendo crollare le borse mondiali. Dopo la crisi subprime, quella delle commodities, del petrolio e del settore automotive, una nuova scure si sta abbattendo sull’economia mondiale.
Il soggetto più coinvolto è il Fairfield Greenwich Group (7, 52 miliardi di dollari), seguito a ruota da altre società finanziarie, fra cui il fondo Optimal di Santander, prima banca spagnola e fra i colossi del credito europeo, con numerose filiali anche in Italia. Le perdite stimate degli spagnoli sono nell’ordine dei 2,5 miliardi di euro. Santander, che gestisce anche il mercato del credito al consumo con Finconsumo, non ha commentato ufficialmente la notizia derivante da oltreoceano. Tutto lascia immaginare che il silenzio sia il preludio a stime ben peggiori di quelle rilasciate ai giornalisti. Infatti è il mondo degli istituti di credito quello ad accusare i colpi peggiori: BNP Paribas valuta un’esposizione per 450 milioni di euro (tramite Natixis), Royal Bank of Scotland per oltre 440 milioni, i nipponici di Nomura per 302 milioni, BBVA per 300, Société Générale per 100, la nostra UniCredit per 75 milioni.
Anche il colosso bancario HSBC accusa il colpo, stimando un’esposizione per oltre un miliardo di dollari. Ma sono tante altri i soggetti implicati in un crack che riporta drammaticamente alla luce il default del fondo hedge Long Term Capital Management (LCTM) che il 23 settembre 1998 ha fatto tremare la maggioranza della finanza mondiale. In effetti, quello che è successo con Madoff Investment ha qualcosa di molto vicino a LCTM. Entrambi i fondi hanno racimolato impressionanti quote da investitori istituzionali, esponendoli poi a speculazioni senza precedenti per rientrare delle perdite patite con la crisi del mercato immobiliare nell’agosto 2007.

Alla fine, tutti i nodi vengono al pettine, in quanto nei mesi scorsi la società Maxam ha richiesto a Madoff LLC la restituzione di un debito per 30 milioni di euro, a cui ha fatto seguito il crollo del castello di carte creato negli anni.

Subito si è pensato che fossero coinvolti solamente i grandi investitori, data la tipologia del fondo, ma secondo un’analisi più approfondita è emerso che il sistema alla base dell’hedge fund si componeva anche i piccoli risparmiatori, anch’essi a rischio.

L’ipotesi più accreditata è quella di un crollo sistemico degli hedge fund, secondo numerosi analisti di Bloomberg. A tal proposito, gli organismi di sorveglianza si sono mossi tempestivamente... I primi nomi celebri sono quelli di Aletti Gestielle Alternative e Pioneer Investment, primari gestori di fondi sul mercato finanziario italiano. Ma l’esposizione del nostro paese deve ancora essere quantificata, dal momento in cui l’indagine di Consob è da considerarsi informale.

Le farà seguito una serie di controlli a tappeto per stimare in che misura le SGR nostrane siano state coinvolte nel crack Madoff...

To be continued...


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martedì 16 dicembre 2008

Crack Madoff



Per quasi 50 anni Bernard Madoff, "Bernie" per gli amici, ha gestito la sua attività di brokeraggio a New York come "family business". E come un affare di famiglia questo settantenne dall'aspetto bonario pensava di concludere la sua onorata carriera prima di consegnarsi alle autorità per quello che potrebbe rivelarsi come il più grande scandalo della storia di Wall Street.

All'alba di giovedì, quando gli agenti federali sono entrati nel suo appartamento nel cuore di Manhattan per arrestarlo, Bernie ha dichiarato candidamente di non avere «spiegazioni innocenti» per giustificare un buco che, per sua stessa ammissione, ammonta ad almeno 50 miliardi di dollari, (per avere un termine di paragone...cinque volte il crack di Worldcom del 2002).

La spiegazione "autentica" è quella che ha fornito lui stesso ad alcuni dei suoi più fidati collaboratori, quando, secondo l'atto di accusa depositato dalla Sec,(la "Consob Americana") li ha chiamati a raccolta per una confessione shock: la sua attività di investment advisory era semplicemente «una gigantesca bugia» dietro la quale si nascondeva la più classica delle truffe, la catena di Sant'Antonio meglio conosciuta negli Usa come il «Ponzi scheme».

La Bernard Madoff Investment Securities, società di cui Madoff risulta essere l'unico titolare, faceva leva su una solida reputazione costruita a partire dal 1960 quando, Bernie, un ex bagnino di Lond Island, si era lanciato nell'attività di brokeraggio. Dieci anni dopo il business andava a gonfie vele, tant'è che la BMSI è arrivata a occupare centinaia di trader, mentre Bernard Madoff aveva saputo ritagliarsi un ruolo di spicco nella comunità finanziaria newyorkese, diventando anche presidente del Nasdaq, il listino tecnologico di cui si vantava di aver accompagnato lo sviluppo negli anni del boom della new economy.

L'attività della sua casa di brokeraggio spaziava dall'attività di negoziazione titoli, fino allo sviluppo di piattaforme elettroniche di trading per azioni e derivati, per le quali aveva avuto come partner le più prestigiose firme di Wall Street, da Goldman Sachs a Merrill Lynch. Nell'83 era sbarcato anche a Londra, diventando uno dei primi membri americani del London Stock Exchange.

Ma i guai sono arrivati dopo, quando il broker, contando sulla sua buona reputazione, decise di inventarsi un futuro nel settore degli hedge fund, ufficialmente come advisor di alto profilo.

Già nel 2001 sulla stampa specializzata erano emersi i primi dubbi per questa nuova attività di Madoff... Dubbi fomentati dai concorrenti che si chiedevano come fosse possibile che lo schema di gestione di fondi dei fondi hedge inventato da Madoff non solo riuscisse a produrre rendimenti costanti dell'ordine del 15% all'anno, ma sorprendentemente indovinasse sempre il timing degli acquisti e delle vendite, ponendosi al contempo al riparo della volatilità.

Come fa?
«...Too good to be true», troppo buono per essere vero, insinuavano i detrattori!

Ma Madoff rispondeva di meritarsi un po' di credibilità dopo decenni di attività sul mercato come trader:
«...La strategia è la strategia - diceva - e i risultati sono i risultati».

Dal 2001 la consulenza per i fondi ha assunto dimensioni internazionali.
...Fino all'inizio di dicembre, quando, pressato da 7 miliardi di riscatti, Madoff ha deciso di gettare la spugna rivelando ai suoi collaboratori quello che avrebbe poi confessato agli agenti dell'Fbi. E cioè che fino ad allora aveva garantito alti ritorni agli investitori utilizzando le somme versate da nuovi clienti, il Ponzi scheme appunto!

Finchè le nuove sottoscrizioni superavano le richieste di rimborso tutto è filato liscio, ma la crisi finanziaria ha fatto saltare il gioco.

In caso di condanna, Madoff rischia fino a 20 anni di carcere. Ora bisognerà vedere quale prezzo pagheranno i suoi clienti.

Gli hedge fund gestiti da Madoff hanno provocato perdite per oltre 50 miliardi di dollari, gettando pesantissime ombre sui bilanci delle maggiori banche e facendo tremare le borse mondiali.... Santander, HSBC, BBVA... e tante altre!

In Italia, UniCredit e Banca Popolare hanno lasciato intendere che i propri bilanci subiranno dei notevoli ridimensionamenti, anche se in misura minore rispetto agli altri paesi.

Il vero problema è che attualmente è quasi impossibile effettuare delle verifiche complete delle esposizioni, dato che giungono voci nuove ogni ora, data la grande diffusione dei fondi gestiti da Madoff Investment nel mondo.

Un crollo che fa comprendere quanto sia ampio il mutamento di un certo modello di finanza.

La fine degli hedge fund? Forse no, ma quello che è certo è che un colpo da 50 miliardi di dollari farà ridimensionare notevolmente un settore!


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Fonte: Sole 24Ore

martedì 9 dicembre 2008

2009: fuga da Milano?




La crisi ha colpito globalmente tutte le istituzioni finanziarie e le conseguenze in termini occupazionali si sono fatte sentire per tutto l’anno in corso e molto probabilmente si faranno sentire anche per quello a venire.

A partire da settembre, settimana dopo settimana, la conta dei tagli ha subito una vertiginosa impennata, che con Citigroup ha aggiunto di un colpo ben 50.000 esuberi, portando a un totale di circa 90.000 le perdite di posti di lavoro su scala mondiale.

La tendenza non sembra arrestarsi con i più recenti annunci di Credit Suisse che taglierà circa il 3% del personale, ridimensionando soprattutto l’investment banking, dopo aver già tagliato 500 posti in ottobre. Misure simili ci sono state anche da parte di UBS e Commerzbank, mentre i tagli di varia entità arriveranno anche in HSBC e Deutsche Bank, che fin ora sembravano meno propense a tali mosse.

Nel tentativo di mantenere i bilanci in equilibrio per fronteggiare la crisi finanziaria, le banche stanno ricorrendo sempre più a riorganizzazioni generali delle loro strutture, che oltre a tagli del personale prevedono anche la chiusura di sedi e uffici dove è possibile.
Purtroppo, l’Italia sembra immancabilmente presente nella lista dei paesi in cui la chiusura è certa.
È un fenomeno cui assistiamo già da qualche mese, basti pensare a casi come quelli di Macquarie e di Kaupthing Bank, realtà estere che hanno completamente dismesso il business in Italia. Senza dimenticare la tedesca Bayerische Landesbank, che oltre a prevedere il taglio di 5.600 posti di lavoro, chiuderà proprio la filiale di Milano, mentre quelle di New York e Londra subiranno ridimensionamenti.

Diverse banche internazionali rivedranno la propria presenza in quei paesi in cui il business non è ancora riuscito a consolidarsi, a vantaggio di quelle realtà geografiche che possono garantire un maggiore contenimento del rischio ed abbassare la probabilità di default.
Quindi, se non siamo proprio a una fuga generalizzata da Milano, molto probabilmente il mercato italiano sarà in futuro curato direttamente dalle sedi centrali fuori Italia, con personale specailizzato e dedicato al nostro paese e dove forse ci saranno delle possibilità di inserimento per chi volesse ricollocare la propria esperienza del territorio nazionale all’estero. La mancanza però di sedi direttamente sul territorio potrebbe avere effetti sull’economia reale in senso generale e la preoccupazione crescente da parte delle aziende è che tutta la struttura del credito rimanga congelata e senza alternative.

Speriamo bene...

Bye!

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Fonte: FinancialCarreer

giovedì 4 dicembre 2008

La BCE procede col taglio dei tassi: -75 bp


Il taglio dei tassi operato dalla Banca centrale europea (Bce) è una notizia che in teoria dovrebbe far sorridere tutte le famiglie con un mutuo a tasso variabile.

L'abbassamento di 75 punti base del costo del denaro, dal 3,25% al 2,5%, può infatti comportare un sensibile risparmio: per ogni 100mila euro presi a prestito, la rata mensile si abbatterebbe in media dai 25 ai 41 euro (-2,4%/-7,9%) in base alla durata del finanziamento, con un impatto ovviamente maggiore sui prodotti più lunghi. L'effetto si somma a quelli (più o meno di doppia entità) già ottenuti grazie ai tagli dei due mesi precedenti (a inizio ottobre il tasso ufficiale era ancora al 4,25%).

Nella pratica, tuttavia, le cose non stanno esattamente così, almeno non ancora: i mutui variabili indicizzati al tasso di rifinanziamento della Bce non sono ancora disponibili per i risparmiatori e i prodotti tradizionali sono invece agganciati ai tassi Euribor. Questi ultimi sono sì in calo (oggi il tasso a un mese è sceso ancora al 3,33%, quello a 3 mesi al 3,67%), ma si adeguano gradualmente al taglio e occorrerà quindi un po' di pazienza (settimane, forse un mese) per vedere un effetto complessivo di tale entità.

Il Decreto anti-crisi appena varato ha chiesto alle banche di affiancare a partire dal primo gennaio 2009 mutui indicizzati al tasso Bce ai tradizionali prodotti basati sull'Euribor. In questo modo le famiglie avranno la possibilità di agganciare le rate a un valore meno volatile e (al momento) significativamente inferiore.

Per valutare l'effettiva convenienza occorrerà tuttavia vedere come gli istituti bancari applicheranno la norma: il precedente Bpm, che ha già presentato un mese fa l'Euromutuo agganciato al tasso Bce, non sembra essere incoraggiante. Come visto anche nel precedente post, il ricarico applicato dalla banca (spread) è di 150 punti base, quindi mediamente più elevato rispetto a quanto praticato sui prodotti Euribor (110 punti base, secondo le stime della relazione tecnica che accompagna il Decreto).

Il Mutuo Bce, dunque, sarebbe interessante fintanto che la forbice Euribor-Tasso ufficiale resta elevata.

A questo punto la speranza per le famiglie con mutuo a tasso variabile e che tale differenziale si mantenga ampio... in caso contrario, magari nel lungo termine... la scelta di agganciare il mutuo al tasso BCE potrebbe risultare meno conveniente sotto l'aspetto finanziario.

Staremo a vedere...

Bye!



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lunedì 1 dicembre 2008

Con l'Euribor il rischio si scarica sui clienti...



L'Euribor, il tasso a cui è agganciata la gran parte dei mutui a tasso variabile, sta scendendo ancora.
Scende si ma... non come dovrebbe! C'è qualcosa che non va: la Bce ha tagliato dello 0,75%, l'Euribor a 3 mesi è sceso dello 0,12 e quello a un mese dello 0,15. Certo, si tratta di un tasso di mercato (quello a cui le banche si scambiano il denaro tra loro), quindi non c'è niente di automatico ed è assai probabile che continuerà a scendere nel prossimo futuro. Però persino il presidente della banca centrale, Jean Claude Trichet, ha ritenuto di dover fare un richiamo in materia: "Ci aspettiamo che le banche facciano il loro dovere".

Certo, le prossime rate dei mutui scenderanno, ma è assai probabile che finché non saranno del tutto passate le turbolenze della crisi finanziaria (e ci vorrà parecchio tempo, mesi se non anni) l'Euribor si manterrà sensibilmente al di sopra dei tassi ufficiali, come lo è stato, a livelli che raramente si erano visti in passato, per tutto quest'ultimo periodo, come si può vedere dal grafico.

Ed è corretto?

Che non sia corretto se ne sono convinti ormai anche i banchieri centrali... suggerendo di legare i mutui ai tassi fissati dalla banca centrale, e lo ha ripetuto nel suo discorso alla Giornata del risparmio il governatore di Bankitalia Mario Draghi.
(Una banca che ha raccolto l'invito c'è già, la Banca Popolare di Milano: offrirà un mutuo indicizzato al tasso Bce maggiorato di 1,5 punti (quello che in termine tecnico si chiama spread di 150 punti base).
Beh, lo spread è più ampio rispetto a quelli di mercato... ma è ancorato al tasso ufficiale della BCE (come vedremo più avanti, questo comporterebbe un maggior rischio per le banche e ... udite udite... minore per il cliente!)

Conviene?

Adesso sì, perché l'Euribor come abbiamo visto è molto più alto del tasso Bce, e anche all'Euribor le banche aggiungono uno spread!
Ci sono però due osservazioni da fare:
1) si sarebbe ancorati a un parametro più stabile, perché la Bce non cambia i tassi tutti i giorni;
2) se qualche altra banca deciderà di fare concorrenza alla Bpm chiedendo uno spread più basso, si potrà sempre (San Bersani...) cambiare il mutuo con quello alle condizioni più favorevoli.

Ma perché le banche utilizzano questo parametro e sono così restie a cambiarlo?
A prima vista sembrerebbe un discorso semplice:

la banca, per prestare il denaro a chi chiede il mutuo, lo "compra" a sua volta sul mercato interbancario, e lo spread non sarebbe altro che il "ricarico", la remunerazione dell'operazione.


In realtà non è proprio così...
Perché le banche raccolgono denaro anche attraverso altre vie, ed essenzialmente due:
- i depositi dei correntisti;
- l'emissione di obbligazioni che vengono poi vendute sul mercato.

Ora... una delle regole auree del credito è che il debito che fa la banca a fronte del prestito che concede dovrebbe avere lo stesso ordine di durata. Ossia un prestito a lungo termine (come il mutuo) dovrebbe essere coperto con un indebitamento ad altrettanto lungo termine (...tra l'altro, questa era la scusa che le banche mettevano avanti per imporre forti penalizzazioni in caso di estinzione anticipata dal mutuo!)

Oggi, essendo stato adottato il modello della "banca universale" la raccolta degli Istitituti du Credito non avviene in maniera specifica (per questo o per quell'obiettivo), basta che alla fine vengano rispettati determinati parametri globali che riguardano il patrimonio e gli impieghi.

In sintesi... le banche, per erogare i finanziamenti:
- utilizzano i soldi dei depositi, che sono a costo quasi zero;
- fanno provvista sul mercato interbancario, pagando appunto il tasso Euribor che dunque varia ogni giorno in relazione alla domanda e all'offerta;
- ...e soprattutto emettono obbligazioni.


Allora... perché l'Euribor per i mutui?

Proprio perché è il tasso più "ballerino": le altre forme di raccolta hanno costi più stabili.

In questo modo il rischio di mercato (cioè il rischio di impennate del costo del denaro interbancario, che non è necessariamente quello che serve per finanziare i mutui, ma che comunque la banca utilizza) viene interamente scaricato sul cliente.

Del resto, lo stesso comportamento viene adottato per le imprese, i prestiti alle quali (sempre secondo i dati Bankitalia) sono per il 95% a tasso variabile, mentre all'estero questa quota è sensibilmente più bassa.

Dunque, basare i mutui sul tasso Bce significa, per la banca, assumersi un rischio maggiore: è per questo che richiede un premio (lo spread) molto superiore, circa il doppio di quello ormai più diffuso sul mercato.
Però, come dicevamo sopra, da una parte il debitore corre meno rischi (...e di rimanere imprevedibilmente in bolletta a causa di impennate come quelle degli ultimi tempi); e dall'altra, si può sperare che la concorrenza faccia il suo mestiere, facendo arrivare sul mercato prodotti meno cari.

Aspetto vostre considerazioni!


Bye!


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Fonte: repubblica.it