venerdì 23 novembre 2007

Draghi spinge le banche italiane a fusioni oltre confine


E’ esaurita la fase delle fusioni nazionali, le banche italiane devono ora guardare all’estero. E’ quanto ha detto ieri il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in un discorso sulle profonde trasformazioni finanziarie dell’ultimo decennio tenuto al Center for Financial Studies.


“La concentrazione nazionale che prevale in Europa, malgrado alcune operazioni molto visibili – ha detto Draghi - potrebbe avere raggiunto il suo limite. In molti Paesi la quota di mercato delle banche più grandi è già elevata, ed è improbabile che le autorità antitrust autorizzino ulteriori fusioni”.


Insomma, le fusioni e acquisizioni bancarie in Europa dovranno essere sempre più internazionali. Anche per effetto della variabile valutaria. “Le stesse forti variazioni dei cambi – ha ricordato il governatore - potrebbero indurre a fusioni e scalate internazionali”. Un riferimento interpretabile come un invito verso un’espansione in terra statunitense dopo i record dell’euro nei confronti del biglietto verde (stanotte l’euro/dollaro è giunto a 1,4966).


Bisognerà però attendere, almeno nel pensiero di Draghi, che il sistema esca dalle attuali turbolenze: “I recenti sviluppi sui mercati finanziari – ha spiegato - porteranno probabilmente a divergenze nei risultati delle banche e una volta che tornerà la calma stimoleranno un consolidamento internazionale”. Proprio ieri su questo fronte la francese Natixis ha deliberato un finanziamento di emergenza di 1,5 miliardi di dollari per la sua controllata statunitense Cifg, rimasta coinvolta dalla crisi subprime.


E proprio parlando della crisi, Draghi ha chiarito che occorreranno ancora due o tre mesi per valutarne pienamente gli effetti. La cartolarizzazione dei crediti, secondo Draghi, avrebbe mostrato “alcune crepe”, sottolineando comunque che “è troppo utile a tutti i protagonisti per essere abbandonato.


Draghi ha poi voluto spendere parole per il massimo rigore da parte delle istituzioni monetarie mondiali, ricordando che “le banche centrali cercano di evitare le sorprese, e di essere prevedibili in modo da ridurre l’incertezza e la volatilità dei mercati finanziari. Ma le loro azioni devono essere dettate dal quadro economico non dalla visione degli operatori di mercato”.


...Un richiamo preciso dunque alle banche centrali ad essere più forti delle tensioni sui mercati finanziari e al mantenimento della fedeltà verso gli obiettivi istituzionali.

giovedì 22 novembre 2007

Mutui da record, tasso medio al 5,71%

Non si ferma la corsa del tasso sui mutui concessi alle famiglie per l'acquisto di abitazioni. Il dato medio rilevato dall'Abi si è attestato al 5,71% a ottobre, nuovo massimo da cinque anni.

A settembre il dato era stato pari al 5,63%, mentre nell'ottobre del 2006 i tassi erano ancora fermi al 4,74%. Il minimo storico era invece stato toccato nel luglio 2003 con il 3,58%. Il dato di ottobre, segnala il Bollettino mensile di Palazzo Altieri, è «influenzato anche dalla variazione della composizione fra erogazioni a tasso fisso e variabile».

RINEGOZIAZIONE - Intanto l'Abi fa un passo in avanti sul tema relativo al costo dei mutui . «Il Comitato esecutivo - ha detto il presidente Corrado Faissola incontrando i giornalisti al termine della riunione - ha affrontato il tema delicato della portabilità e della rinegoziazione dei mutui», nell'ottica di non andare a incidere sul comportamento di mercato delle banche. In particolare, ha spiegato Faissola, «sul tema delicato dei costi, l'Abi raccomanda ai propri associati che questi siano assunti dalla banca subentrante». Così come i costi di «eventuali penali derivanti dall'estinzione anticipati nei mutui».

REAZIONI - Insomma, non proprio un messaggio limpido e definitivo, ma una «raccomandazione» a non gravare i consumatori di costi ulteriori per la portabilità (ovvero sul trasferimento dei mutui presso un'altra banca) e la rinegoziazione. Costi non annullati, però, e che dovrebbero gravare sulla banca subentrante. Ma qual è stata la reazione delle associazioni dei conusmatori: «È una vittoria dell'unità delle associazioni che fin dall'inizio hanno interpretato l'articolo 8 della legge 40/2007 nel senso del costo zero per la portabilità dei mutui», afferma il presidente del Movimento Difesa del Cittadino, Antonio Longo. «È giusto che una banca che vuole guadagnare clienti offra ai sottoscrittori dei mutui la portabilità a costo zero, che significa accollarsi l'eventuale penale, i costi del trasferimento dell'ipoteca e dell'attivazione del nuovo mutuo», conclude Longo.

IL CODACONS - Al riguardo però il Codacons esprime le proprie perplessità: «Non vorremmo che la deliberazione dell'Abi sia una astuta manovra per frenare l'emendamento proposto dal Codacons e varato pochi giorni fa dalla Commissione Finanze della Camera, e che impone l'assoluta gratuità del trasferimento dei mutui», afferma il presidente dell'organizzazione dei consumatori, Carlo Rienzi. «Se davvero l'Associazione Bancaria ha a cuore gli interessi degli utenti, allora lo dimostri sostenendo assieme a noi l'emendamento in questione. Nell'attesa di sapere se l'Abi accetta o meno la sfida, la nostra posizione - conclude Rienzi - è fortemente scettica».

ANTITRUST - Amche il presidente dell'Antitrust, Antonio Catricalà, parlando a margine di un convegno di Adiconsum, ha detto che «le banche non hanno bisogno di tante raccomandazioni. Qualsiasi soluzione per la portabilità può andar bene purché non si impongano costi diretti o indiretti ai clienti».

La telenovela continua...

mercoledì 21 novembre 2007

In Borsa scende il freddo: meno società alla quotazione.

Chi ha paura della crisi dei mutui subprime?

La pioggia di vendite che si è abbattuta sulle Borse di mezzo mondo e che ha depresso i listini e in particolare i titoli delle banche, non ha fermato la corsa delle matricole. O meglio... in parte l’ha frenata, come testimonia uno degli ultimi studi sul numero delle Ipo, ma non l’ha arrestata. Tanto che soltanto pochi giorni fa il ceo del London Stock Excanghe, Clara Furse, ha potuto presentarsi alla comunità finanziaria per la prima trimestrale dopo la fusione con Piazza Affari con un record di tutto rispetto; nel corso del 2007 sono state fino ad ora 72 le ammissioni al listino, il doppio rispetto all’anno precedente e 52 Ipo internazionali, più di quanto abbiano fatto Nyse Euronext (l’alleanza tra le Borse di New York e Parigi), Nasdaq e Deutsche Borse messi insieme.

Ma non c’è dubbio che la correzione in atto sui mercati a partire da ferragosto abbia inficiato le performance delle nuove matricole. Come per esempio sta avvenendo a Piazza Affari. Se prima dell’estate erano stati 26 i debutti a Palazzo Mezzanotte, di cui ben 10 nel mese di luglio, negli ultimi tre mesi le Ipo sono state soltanto due. E della dozzina di società che hanno annunciato la loro ferma volontà di quotarsi entro la fine dell’anno, soltanto quattro sono effettivamente sulla rampa di lancio. Le due coraggiose corrispondono al nome di Piquadro e Damiani: entrambe hanno, però, dovuto fare i conti con il periodo difficile, visto che la società del settore pelletteria ha guadagnato un modesto 4% dal prezzo di collocamento, mentre la casa di gioielli, l’ultima ad approdare sul listino l’8 novembre scorso, sta recuperando la parità dopo una prima giornata di contrattazione terminata con un perentorio 10%.

A sfidare le incertezze del mercato sono ora arrivate FriEl Green Power (specializzata nella realizzazione di impianti per le energie alternative) e Finaval (trasporti via mare), entrambe approdate a Piazza Affari lunedì 12 novembre. Mentre il 26 novembre sarà la volta di Maire Tecnimont, nata da due costole del gruppo Fiat e della ex Montedison, che di mestiere si occupa di progettare e realizzare impianti tecnologici e infrastrutture ad alto livello.
Entro la metà di dicembre, ultima finestra prima della pausa natalizia, è certo l’arrivo in Borsa del gruppo editoriale Il Sole 24 Ore, nonché della società di produzione televisiva Rainbow: oltre ad aver lanciato il fenomeno Winx (cartoni animati di sei ragazze che studiano da fatine) ha suscitato non poco interesse l’ingresso nel capitale al 2% del finanziere tunisino Tarak Ben Ammar, consigliere di Mediobanca.

Tra la fine dell’anno e l’inizio del prossimo abbiamo poi ancora una pattuglia di candidati che stanno espletando le ultime procedure con la Consob tra cui Grandi Salumifici Italiani e Molmed, la società di biotecnologia nata da uno scorporo dell'Istituto Scientifico San Raffaele.

Si tratta, comunque, di società di dimensioni contenute. La Borsa Italiana, del resto, è lo specchio della realtà economica italiana, lontana dalle maxi Ipo della Cina dove la Petrochina e Alibaba.com hanno raccolto miliardi di dollari superando per capitalizzazione i colossi del mondo occidentale come Exxon.

Come ha spiegato solo pochi giorni fa l'amministratore delegato di Borsa Italiana Massimo Capuano, l'alleanza con Londra potrà indurre ora alcune società a quotarsi ottenendo così una visibilità maggiore sui mercati finanziari internazionali.

Dunque, il futuro di Piazza Affari sembra sempre più quello di spingere le Pmi alla quotazione...

giovedì 8 novembre 2007

I tagli della FED: aiutano la Borsa... ma senza averlo come obiettivo

Legare le mosse delle banche centrali alle fortune delle Borse è un esercizio costante nei tempi di crisi. Ad esso non si sottraggono mai gli investitori stessi, che guardano alla Federal Reserve e alla Bce come ai più naturali salvagenti che il sistema può, anzi deve, offrire per tenere a galla le quotazioni crollate.

L'abbiamo visto in occasione dell'ultima crisi dei mutui subprime in estate: poichè i listini sono scesi in picchiata (prima di risalire e poi di ricadere ancora in autunno), i risparmiatori con le azioni che dimagrivano nei loro portafogli, e i trader di borsa che non guadagnavano più per il calo dei volumi degli scambi, hanno chiesto in coro alle autorità di immettere liquidità nel mercato.

La FED ha fatto due tagli consecutivi, ed ora è nella situazione difficile di sostenere che non li ha fatti su pressione della piazza borsistica. Così ieri abbiamo sentito, da un autorevole membro della Federal Reserve cha ha tenuto un pubblico discorso, che le aspettative degli investitori e le politiche della banca centrale americana non sono legate da un rapporto di causa ed effetto. Frederich Mishkin, ha insistito in modo molto chiaro che i due tagli di settembre e di ottobre, il primo di 50 e il secondo di 25 centesimi, sono stati decisi per ridurre il rischio economico sull'economia, cioè per erigere una difesa contro la possibilità di una recessione, che comporterebbe un aumento della disoccupazione e un peggioramento sociale complessivo.

La puntualizzazione di Mishkin è di principio.
La Fed non ha come scopo, quando taglia i tassi, di diminuire i rischi per i risparmiatori. I quali, se perdono dei soldi a causa delle decisioni sbagliate che essi stessi prendono quando sottovalutano il rischio incorporato nei prezzi di asset che sono saliti al di là della soglia che diventa "bolla", non devono aspettarsi favori. Per essere ancora più esplicito, Misckin ha aggiunto che la FED è impotente nel salvare i risparmiatori, perchè le politiche di intervento monetario possibili, dal taglio del tasso di sconto agli approvvigionamenti mirati alle banche a tassi agevolati, fino al più noto taglio del tasso generale, sono proprio concepite e finalizzate per proteggere Main Street (l'economia) e non Wall Street (la Borsa).

Gli investitori devono sapere che non possono contare ciecamente sulla FED per riparare i guasti provocati dalla ingordigia o dalla incapacità nell’esporsi a rischi di correzioni fortissime dei prezzi delle azioni, delle obbligazioni, o delle case quando si compra puntando sulla crescita inarrestabile dei prezzi.

Il messaggio è: chi è troppo ottimista sul fatto che le quotazioni debbano solo salire corre un rischio, e deve rassegnarsi a pagare lo scotto se la bolla scoppia. Troppo comodo credere che ci sia sempre un compratore di ultima istanza. Il problema per la FED è che qualche volta gli effetti benefici su Main e Wall Street si sovrappongono, e quindi la credenza sul ruolo e sulla funzione salvifici della banca centrale è destinata a non morire mai, anche dopo i più rigorosi dei distinguo teorici.

mercoledì 7 novembre 2007

Schiavi moderni

La legge Maroni, o legge 30, doveva essere subito abolita da questo Governo. Nel programma l'Unione si era impegnata a cambiarla radicalmente con i suoi elettori.
Non ha mantenuto le promesse.
Ora anche gli organismi internazionali cominciano a chiederci perchè stiamo trasformando gli italiani in Schiavi Moderni.

Il professor Mauro Gallegati scrive:
Con il pretesto della flessibilità per modernizzare il mercato del lavoro, la legge 30 ha creato una situazione di precarietà preoccupante. Per le statistiche ufficiali, i contratti a termine sono diventati quasi l'unico modo che hanno i giovani di trovare un impiego ma poi è raro che questi si traducano in lavori stabili, con un rapporto di 1 a 25!
Stanno aumentando le distorsioni del mercato del lavoro, specialmente nel Sud del Paese dove la diminuzione del tasso di occupazione ha raggiunto livelli allarmanti".
Sono le osservazioni della Commissione di esperti dell'International Labour Organisation, ILO, Agenzia delle Nazioni Unite per i diritti del lavoro.

È passata inosservata la notizia che il nostro Governo, tramite il ministro Damiano, è stato convocato in un'audizione speciale nel corso della 96° Conferenza internazionale del lavoro, a giugno a Ginevra, per discutere della situazione in Italia e degli effetti della legge 30, che ha suscitato non poche perplessità nella comunità internazionale: dai verbali dell'audizione italiana emerge con chiarezza "l'incompatibilità" delle riforme del governo Berlusconi rispetto alla Convenzione 122 sulle politiche del lavoro. La Convenzione, ratificata dall'Italia nel 1971, impone agli Stati membri l'adozione di "programmi diretti a realizzare un impiego pieno, produttivo e liberamente scelto" e in generale "l'elevazione dei livelli di vita, attraverso la lotta alla disoccupazione e la garanzia di un salario idoneo".

Per la Commissione composta da 20 giuslavoristi di tutto il mondo, "l'unico fine perseguito dal vecchio governo è la liberalizzazione del mercato del lavoro secondo un modello di contrattazione sempre più individualizzata, a discapito di politiche territoriali di sviluppo nell'industria e nella ricerca, fondamentali per assicurare competitività nei settori innovativi, anziché cercare di competere con le economie emergenti sul costo del lavoro".

La Commissione ha chiesto di rispettare la Convenzione 122 con "un ritorno alla centralità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato come forma tipica di occupazione", attraverso una concertazione che vada a beneficio dei lavoratori, in termini di condizioni salariali e di vita, e non solo delle imprese.

All'audizione dell'Ilo non ha partecipato il ministro Damiano, seppure convocato formalmente, ma Lea Battistoni, che al ministero è direttore generale del mercato del Lavoro. Dopo avere premesso che il nuovo esecutivo è in carica da troppo poco tempo per mostrare già i risultati delle proprie politiche, Battistoni ha rassicurato la Commissione spiegando che le richieste dei sindacati erano state prese in considerazione e che non c'è motivo di preoccuparsi...!

A mio avviso i motivi ci sono, eccome! ...Per voi no?