martedì 14 dicembre 2010

L'Europa alla svolta...



Qual'è la situazione economica in Europa? La Grecia ha un problema di bilancio, l’Irlanda ha un problema di banche, il Portogallo ha un problema di debito privato mentre la Spagna ha un cocktail di tutti e tre.

Anche se le cause differiscono, le implicazioni sono le stesse: ora tutti devono sopravvivere a "dolorosi" tagli di spesa.

Come?

Il modello standard volto ad attenuare gli effetti dell’austerità prevede di conciliare i tagli alla spesa domestica con la svalutazione della valuta (la svalutazione rende le esportazioni più competitive, e consente di sostituire la domanda interna compressa con la domanda esterna). Tuttavia, non avendo una valuta nazionale da deprezzare, tutti questi paesi devono sostituire la svalutazione esterna con la svalutazione interna.

E come?

"Tagliando" salari, pensioni e altre spese, al fine di ottenere lo stesso miglioramento di competitività necessario per rimpiazzare la domanda interna con quella esterna.

Seppur dolorosa, sembra la soluzione "migliore"...

Resta però una variabile economica che non si coniuga con le altre: il debito pubblico e privato. Il valore dei debiti governativi resta elevato, e anche i debiti bancari risultano consistenti.

Quindi?

Siamo di fronte una contraddizione fondamentale per la strategia di svalutazione interna: più i paesi riducono salari e costi, più pesanti saranno i debiti in eredità... a fronte di un maggiore peso del debito, devono essere attuati ulteriori tagli alla spesa pubblica e una maggiore pressione fiscale. Si rende quindi necessaria una maggiore svalutazione interna, che aumenta ulteriormente il peso debitorio, e così via, in una viziosa spirale al ribasso che porta a una depressione.

Possibili soluzioni?

Per attuare una svalutazione interna efficace è necessario ridurre il valore dei debiti (dove rappresentano già un peso notevole). Occorrerebbe ristrutturare i debiti governativi, convertire i debiti delle banche in azioni (e, laddove le banche siano insolventi, annullarli) e infine bisognerebbe annullare i debiti derivanti dai mutui.

I policymakers sono comprensibilmente restii a intraprendere tale strada (i contratti sono sacrosanti!) e i governi temono di perdere credibilità con i mercati finanziari (nei quali le obbligazioni sono detenute da stranieri - in particolari da banche straniere - e annullarli potrebbe destabilizzare altri paesi).

Queste sono obiezioni ragionevoli, ma le alternative a disposizione sono la svalutazione esterna e interna e i leader europei devono scegliere o l’una o l’altra.Se sono concordi nell’escludere la svalutazione esterna, la svalutazione interna richiede però una ristrutturazione del debito, e negarla è tanto irragionevole quanto illogico.

I meccanismi di ristrutturazione del debito sono semplici: i governi possono offrire una serie di nuovi bond pari al valore parziale delle loro esistenti obbligazioni: i detentori di bond possono scegliere tra obbligazioni par, con un valore pari ai bond esistenti ma con una scadenza maggiore e un tasso di interesse inferiore, e obbligazioni discount con una scadenza inferiore e un tasso di interesse più elevato, ma con un valore inferiore a quello dei bond esistenti. Non è nulla di trascendentale.

Sono tre però i prerequisiti fondamentali per raggiungere il successo:

il primo: i detentori di bond dovranno essere rassicurati sul fatto che i nuovi bond siano sicuri. Qualcuno deve garantire che tali bond siano adeguatamente coperti da garanzie collaterali (Fondo monetario internazionale e il governo tedesco?)

Il secondo: i paesi devono muoversi all’unisono, altrimenti, la ristrutturazione di un paese intensificherà le probabilità che altri entreranno in crisi, dando vita a un contagio.

Infine, il terzo: le banche che assorbono le perdite come conseguenza di tali ristrutturazioni dovranno rinforzare i propri bilanci.

Ora arriva la parte difficile.
Tutto questo lavoro richiede una leadership: i leader tedeschi devono riconoscere che le banche del proprio paese sono pericolosamente esposte ai debiti della periferia europea. Devono convincere i propri elettori che utilizzare denaro pubblico allo scopo di fornire sweeteners per la ristrutturazione dei debiti e di ricapitalizzare le banche è essenziale ai fini della strategia di svalutazione interna, a loro avviso, necessaria anche per i paesi vicini.
In sintesi, i leader d’Europa – soprattutto tedeschi – devono portare avanti l’idea che l’alternativa a tutto ciò sia... una crisi irreversible dell'Area Euro. Realmemnte irreversibile!


Bye!


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Fonte: ilsole24ore

venerdì 23 luglio 2010

E' soprattutto una questione di fiducia...

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La fiducia è il vero motore primo dei mercati...

nei momenti bui seguiti al crollo di Lehman Brothers le grandi banche mondiali hanno smesso di prestarsi denaro a vicenda e hanno cominciato a incrementare i depositi presso le banche centrali. (In un certo senso si sono comportate come un’anziana signora che nasconde il denaro sotto il materasso...) In molti casi grandi istituzioni finanziarie hanno deciso di pagare interessi alle banche centrali pur di non investire un dollaro o un euro nei mercati finanziari, ossia nei prodotti dei loro colleghi: così i tassi sul mercato interbancario sono saliti prepotentemente, ci si è approssimati al credit crunch e si è ristretto anche il credito all’economia reale.

La fiducia non è dunque un bene a buon mercato.

Così, dopo gli stress test alle prime banche americane esplicitamente finalizzati a rassicurare gli investitori, l’esplodere dei deficit pubblici e del debito in Europa (ma non solo) ha incoraggiato enormi tensioni speculative spingendo anche il Vecchio Continente sull’orlo della crisi.
Dopo il rischio di default della Grecia, del Portogallo, dell’Irlanda, della Spagna; dopo un piano da 80 miliardi di euro per il salvataggio di Atene e da almeno 500 miliardi di euro per la stabilizzazione finanziaria dell’Eurozona, si è reso infine necessario anche uno stress test delle banche europee.

L’obiettivo, ancora una volta, è la riconquista della fiducia.

I risultati delle prove condotte sui bilanci delle prime banche d’Europa saranno pubblicati stasera, 23 luglio, a mercati chiusi.

Le condizioni dei test rimangono misteriose e solo poche informazioni certe giungono sul mercato: di certo si sa che saranno messe alla prova 91 banche europee che da sole coprono il 65% del settore bancario del Vecchio Continente (negli Stati Uniti le banche testate erano “solamente” 19).

Le somiglianze fra i test non mancano... in entrambi i casi sono previsti due scenari:
- uno scenario in linea con le stime del mercato sull’andamento di Pil,
disoccupazione, inflazione e altri fattori;
- l’altro è invece uno scenario più negativo che prevede un peggioramento
delle condizioni generali dell’economia.

In Germania 14 banche tra le quali colossi come Deutsche bank o Commerzbank, ma anche le varie Landesbank che rischiano di impensierire gli osservatori, saranno messe alla prova.
In Spagna finiranno altri 27 istituti sotto esame, mentre in Italia le banche testate saranno solo 5 (Unicredit, Intesa Sanpaolo, Banco Popolare, Monte dei Paschi di Siena e Ubi Banca).

Chi supererà gli stress test riotterrà la fiducia dei mercati, chi invece si dimostrerà troppo fragile dovrà chiedere l’aiuto del mercato o degli azionisti per eventuali ristrutturazioni... in alternativa sarà possibile un intervento dello Stato che sarà in un secondo momento accompagnato da un controllo dell’Antitrust europea e che, comunque, dovrà essere accompagnato da un credibile piano di ristrutturazione. Solo come ultima sponda gli istituti potranno ricorrere al supporto europeo e ai fondi per la stabilizzazione del sistema.

Gli stress test americani fecero ampio uso dei coefficienti di patrimonializzazione usati dal Comitato di Basilea, ossia del tier 1 ratio, del core tier 1 ratio e di altri simili parametri. Gli stress test europei useranno gli stessi sistemi? Secondo diversi osservatori è possibile che queste prove creino un modello per i prossimi interventi di Basilea III.
Potrebbe così spuntare il parametro della liquidità che testa la dipendenza degli istituti dal mercato interbancario del credito: qualcuno lo ha già ribattezzato “Lehman Ratio”, ma di certo non spaventa le banche italiane che hanno una base di depositi più ampia della media.

Secondo qualcun altro anche il leverage potrebbe essere preso in considerazione dai nuovi test che il Cebs (Committee of European Banking Supervisors) ha elaborato in stretto accordo con la Commissione europea e con la Bce. Se il core tier 1 ratio misura la parte migliore del capitale (azioni, utili non distribuiti, riserve) il tier 1 ratio include anche gli strumenti ibridi di capitale come alcune obbligazioni, buoni fruttiferi o certificati di deposito.
Un altro interrogativo riguarda le svalutazioni del debito sovrano compreso nei bilanci delle banche europee: i forzieri degli istituti europei (e particolarmente quelli tedeschi) sono zeppi di titoli di stato greci, spagnoli, italiani e così via: quanto dovranno essere svalutati? Le dichiarazioni di alcuni esponenti istituzionali pongono al 17% la svalutazione dei titoli greci, al 3% quella dei titoli spagnoli e allo 0,3% quella dei titoli francesi.

Già al tempo degli stress test a stelle e strisce in molti dubitarono di questo metodo, che poi si dimostrò efficace. A Bruxelles e a Francoforte, che pure rappresentano mercati finanziari sulla carta più solidi, in molti sperano di ripetere il successo di Oltreoceano...
Non resta che attendere ancora qualche ora, in fondo... è soprattutto una questione di fiducia.

Bye!!


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Fonte: BorsaItaliana

mercoledì 30 giugno 2010

Giornata nera...



Borse a picco con la nuova ondata di crisi. L’allarme sul deficit pubblico europeo e i timori per la Grecia e le banche hanno portato la moneta unica a nuovi minimi nei confronti di yen, dollaro, franco svizzero e sterlina e... per tutta risposta... l’Europa ha bruciato 145 miliardi di euro.

Mentre prosegue l’allarme deficit pubblico per Eruolandia, lo spettro della recessione coinvolge inaspettatamente l’economia cinese, che ad aprile ha segnato un rialzo dello 0,3%. Troppo poco secondo gli investitori, che hanno buttato a mare i titoli delle materie prime, data la posizione dominante della domanda cinese, che da sola divora il 45% della produzione mondiale di metalli.

Al di là dell’Atlantico, invece, Wall Street ha incassato il vero e proprio crollo della fiducia dei consumatori, scesa da quota 63,3 a 52,9, ben 10 punti sotto alle attese degli analisti.

Si è creata così in poche ore una miscela esplosiva, che ha colpito senza distinzione tutti i listini e i settori azionari, in primis le banche, affiancate da auto e materie prime. Sul fronte del credito ha pesato il clima di attesa sugli stress-test della Bce che, secondo il Wsj, avrebbe deciso di ampliare la platea degli istituti interessati, portandola a 70/120 banche.
Le autorità americane spargono ottimismo cercando di smorzare i timori.... Proprio la situazione europea e le conseguenze che questa potrebbe avere sugli Stati Uniti sono state uno dei temi dell’incontro fra Obama e Bernanke. L'idea condivisa è che l’economia si sta rafforzando, che siamo in ripresa trainata dal settore manifatturiero: si è passati dal perdere 750.000 posti di lavoro al mese (8 milioni di posti di lavoro persi negli ultimi due anni) a creare occupazione per cinque mesi consecutivi.
La crescita dell’occupazione nel settore privato è ovviamente molto importante per la fiducia dei consumatori e per l’economia nel suo complesso...
L’incontro fra Obama e Bernanke è avvenuto dopo la conclusione del G20, vertice durante il quale i grandi si sono impegnati a dimezzare i propri deficit entro il 2013 e a stabilizzare il debito entro il 2016.
Siamo alla finestra...


Bye!


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Fonte: LaStampa.it

giovedì 6 maggio 2010



A momenti disperati, misure disperate. Dopo mesi di costosi rinvii, la zona euro ha partorito un colossale pacchetto di aiuti per la Grecia. Coinvolgendo il Fmi (Fondo Monetario Internazionale), ha ottenuto un po' di risorse in più e un programma migliore.

Ma funzionerà?

Per alcuni importanti aspetti, il programma è molto simile di quello che l'ha preceduto (e che non prevedeva l'intervento del Fondo). Spazzato il campo dalla fantasia di una modesta contrazione dell'economia per quest'anno seguita dal ritorno a una crescita costante, il nuovo programma apparentemente prende in considerazione l'idea di un calo complessivo del Pil di circa l'8 per cento. Inoltre, il vecchio piano si basava sull'idea che la Grecia fosse in grado di ridurre il disavanzo a meno del 3% del Pil per la fine del 2012, mentre il nuovo piano fissa questo traguardo per il 2014.

Ci sono altri due aspetti degni di nota: il primo è che non ci sarà nessuna ristrutturazione del debito, e il secondo che la Bce sospenderà per la Grecia il requisito del rating minimo necessario per poter usare i titoli di stato nelle sue operazioni di liquidità, offrendo in questo modo un salvagente alle vulnerabili banche greche.

La Grecia, ormai, non ha più la possibilità di accedere ai mercati, dunque l'alternativa a questo pacchetto di aiuti (a prescindere dalla sua applicabilità) sarebbe il default. Il paese in quel caso non pagherebbe più gli interessi sul debito, ma dovrebbe risanare immediatamente il suo disavanzo primario (cioè il disavanzo prima degli interessi sul debito) del 9-10% del Pil, attraverso un risanamento molto più brutale di quello che attualmente Atene ha accettato di sostenere. Inoltre, con un default il sistema bancario crollerebbe.

Dubbi:

1. Si fa fatica a pensare che la Grecia possa evitare la ristrutturazione del debito.
Presumiamo che l'interesse medio sul debito a lungo termine si mantenga su livelli non superiori a quelli attuali (5%): in questo caso Atene dovrebbe avere un'eccedenza primaria pari al 4,5% del Pil, con entrate pari al 7,5% destinate al pagamento degli interessi. I cittadini greci sopporteranno stancamente questo fardello anno dopo anno?

2. Un secondo problema è che anche le nuove previsioni dell'Fmi a me sembrano ottimistiche. Considerando gli enormi tagli alla spesa programmati e l'assenza di compensazioni sul fronte del cambio o della politica monetaria, la Grecia probabilmente entrerà in una recessione prolungata. La riforma strutturale risolverà la questione? Difficile, a meno di non produrre un calo enorme del costo unitario del lavoro nominale, perché la Grecia avrà bisogno di un prolungato incremento delle esportazioni per compensare la stretta di bilancio. Inoltre, se i salari nominali caleranno, il fardello del debito diventerebbe peggiore del previsto. Alla Grecia si chiede di fare quello che l'America Latina fece negli anni 80, dando inizio al decennio perduto di cui beneficiarono i creditori esteri. E considerando che ora i creditori vengono pagati per andarsene, chi li sostituirà?

Questo piano di salvataggio probabilmebnte non basterà per far tornare la Grecia sul mercato, a condizioni accettabili, nel giro di pochi anni. Serviranno altri soldi se non si vuole prendere in considerazione, poco saggiamente, la via della ristrutturazione del debito.

Per gli altri membri della zona euro, il programma previene, nell'immediato, il rischio di uno scossone a sistemi finanziari già fragili: ufficialmente è un salvataggio della Grecia, ma in realtà è un salvataggio delle banche.

Non è affatto chiaro però se tutto questo potrà aiutare altri paesi membri attualmente nel mirino. Gli investitori potrebbero facilmente giungere alla conclusione che, viste le proporzioni del pacchetto di aiuti che è stato necessario varare per la minuscola Grecia e le enormi difficoltà incontrate nel giungere a un accordo, sarà molto difficile varare altri interventi del genere. Altri membri dell'euro potrebbero finire abbandonati a se stessi. Nessuno è in condizioni drammatiche come la Grecia e nessuno ha dato prova di altrettanta disonestà. Ma ce ne sono parecchi oberati da un deficit insostenibile e da un debito pubblico in rapida crescita.

La storia, insomma, non è finita...

Per la zona euro, ci sono due insegnamenti chiari da trarre.

Il primo è che ha una scelta netta di fronte a sé: o consente che uno stato vada in default, per quanto caotica possa essere questa eventualità... o crea un'unione reale, con una forte disciplina e fondi sufficienti per ammortizzare i programmi di risanamento da applicare nelle economie in grave difficoltà (Buiter raccomanda un Fondo monetario europeo da 2mila miliardi di euro).

Il secondo è che un aggiustamento nella zona euro non può funzionare senza aggiustamenti compensativi nei paesi del nocciolo duro. Se la zona euro è disposta a vivere con una domanda complessiva vicina a livelli di stagnazione, si trasformerà un fuoco incrociato di disinflazioni competitive a danno degli altri stati, facendo affidamento sempre di più ai mercati mondiali come valvola di sfogo per le eccedenze. Un esito che piacerebbe a pochi.

Le crisi in corso confermano che chi vedeva l'euro come un'avventura ad alto rischio aveva ragione. Questi scossoni erano prevedibili. Anche il timore che mettere insieme paesi tanto diversi avrebbe fatto crescere le tensioni, invece di ridurle, sembra confermato: basta guardare l'impennata dell'antieuropeismo in Germania. Ma ora che l'euro è stato creato va assolutamente fatto funzionare!

Lo sforzo per salvare la Grecia è solo l'inizio della storia. C'è ancora moltissimo da fare, per reagire alla crisi nell'immediato e per riformare la zona euro tutta in un futuro non troppo lontano.

Bye


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Fonte: Sole 24 Ore

mercoledì 10 febbraio 2010

In attesa del Summit...



Riprendo un articolo di Wolfgang Münchau, pubblicato sul Sole 24 Ore... visto che anche a me, gli avvenimenti degli ultimi giorni, hanno riportato alla memoria gli attacchi speculativi alla sterlina e alla lira del settembre 1992.

I ministri delle finanze d'Europa e le banche centrali all'epoca reagirono con rabbia e incomprensione: la parità centrale della sterlina nel meccanismo dei tassi di cambio era tanto insostenibile quanto lo sono oggi le finanze pubbliche in Grecia o gli stipendi in Spagna.

I mercati finanziari odierni giustamente percepiscono che la zona euro non si sta occupando degli squilibri e sono oltretutto confusi dai vari segnali provenienti da Germania e Francia in relazione a un possibile salvataggio in extremis.

Probabilmente gli investitori sono giunti alla conclusione che le probabilità di un'epidemica insolvenza stiano aumentando. Al momento è assolutamente poco chiaro che cosa accadrebbe se uno dei paesi della zona euro dovesse essere incapace di rifinanziare il proprio debito. Si spera in un salvataggio in extremis... ma, come gia detto, la decisione non sembra scontata.

Poi, salvataggio... da parte di chi?
La zoppicante Unione Europea o il FMI (Fondo Monetario Internazionale)?

L'unione Europea non si trova nella condizione di poter fornire aiuti d'emergenza in maniera efficace, al contrario il Fmi ha l'esperienza, il personale e gli strumenti per potersene occupare.

Tutto vero, ma... i sostenitori di un salvataggio in extremis guidato dall'Fmi a ragion veduta ignorano il catastrofico segnale che ciò farebbe giungere ai mercati finanziari, in relazione alla direzione verso la quale si avvierà la zona euro. Dimostrerebbe che la zona euro è incapace di risolvere i suoi stessi problemi, al punto da poter perdere tale e tanta credibilità che gli investitori inizierebbero a trattarla non più come un'unione monetaria, ma come un sistema di tassi di cambio fissi con un orizzonte temporaneo definito.

Molto meglio sarebbe se la zona euro riuscisse a risolvere da sola i suoi problemi. Ciò imporrebbe una strategia che vada oltre quanto prescritto dal patto di crescita e di stabilità della Ue.

Il problema è uno solo: il patto in questione comprende procedure dettagliate inerenti a ciò che accade quando un governo non riesce a conformarsi ai desideri degli altri membri, ma non va oltre la sanzione massima prevista, una semplice ammenda.

Qual è però lo scopo di dare un'ammenda a uno stato insolvente? Infierire...?

In definitiva resterebbe l'insolvenza, alla quale si sommerebbe il dilagare di tale situazione. Perché dunque l'establishment politico europeo non lavora attivamente per definire solide politiche anticrisi?

Al momento, in assenza di un qualsiasi struttura, la minaccia di un default è trasmessa automaticamente dal primo paese vulnerabile a quello successivo. La settimana scorsa il mercato azionario ha fatto registrare un calo più consistente a Madrid e a Lisbona che ad Atene... E non dimentichiamo che altri paesi europei potrebbero essere altrettanto vulnerabili: l'Austria potrebbe ancora essere prosciugata dalla sua crisi bancaria, il Belgio ha un livello molto più alto d'indebitamento rispetto a Spagna e/o Portogallo e un settore finanziario fortemente dissestato dalla crisi globale.

A mano a mano che le preoccupazioni si propagano verso Nord, seri investitori potrebbero essere tentati di scommettere ingenti capitali su una scissione della zona euro.

Al summit speciale sull'economia, i leader dell'Unione Europea dovrebbero far convergere la loro attenzione sulla crisi, piuttosto che dibattere di vaghe riforme di microeconomia: l'Unione Europea deve inviare un segnale urgente e inequivocabile della sua determinazione a individuare e mettere a punto una solida linea politica anticrisi.

Non occorre che questa politica sia varata questa settimana stessa, ma il summit deve in ogni caso lanciare un chiaro segnale al mondo: la zona euro si occuperà e risolverà direttamente i propri problemi!


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Fonte: Sole 24 Ore