venerdì 18 aprile 2008

Vincitori e vinti...



Ci vorranno mesi e molti più dati di quelli oggi disponibili per capire a fondo le ragioni del voto del 13-14 aprile. Sembra riflettere ansie diffuse, soprattutto al di fuori dei grandi centri urbani. Chi ha vinto, ha saputo interpretarle meglio degli altri. Alla coalizione vincente spetta ora il compito difficile di rispondere alle aspettative degli elettori nell’unico modo possibile: rimuovendo i vincoli strutturali che si frappongono alla crescita della nostra economia da almeno 20 anni. Auguriamoci tutti che riesca in questo compito.

Può farcela: a differenza del governo uscente, il nuovo esecutivo avrà maggioranze solide sia alla Camera che al Senato. Questo significa anche che non potranno essere accampate scuse in caso di insuccesso. Né sembrano esserci buchi di bilancio con cui prendersela. Al contrario, i dati sulle entrate fiscali fino a marzo documentano come stia continuando il recupero di base imponibile operato dal Governo Prodi. Il nuovo esecutivo non potrà tuttavia esimersi dal completare l’opera di risanamento, che richiede una riduzione di circa due punti del rapporto fra spesa pubblica e Pil.

Più che i vincoli europei, conta oggi il giudizio dei mercati.

L’ampliarsi dello spread nei rendimenti dei titoli di stato italiani e tedeschi testimonia quanto la crisi in atto sui mercati finanziari rende particolarmente vulnerabile il nostro paese a un downgrading da parte dei mercati, prima ancora che delle agenzie di rating.
Sono tre le sfide più impegnative che attendono il primo anno della nuova maggioranza.


IL FEDERALISMO FISCALE

La prima riguarda il federalismo fiscale. Due movimenti territoriali – la Lega Nord e il Movimento per l’autonomia di Lombardo – hanno dato un contributo fondamentale alla vittoria elettorale. Da loro dipendono le maggioranze sia alla Camera che al Senato.
La Lega chiede un federalismo fiscale che non concede nulla ai trasferimenti alle regioni del Sud: nel suo programma il 90 per cento dei gettiti dei tributi erariali dovrebbe rimanere nei territori che li generano. Paradossalmente un esecutivo che ha promesso di affrontare il nodo del federalismo fiscale inaugurerà le proprie attività con l’abolizione totale dell’Ici, l’unica vera tassa locale oggi esistente. Auguriamoci che non si continui con il federalismo all’italiana, decentramento di capacità di spesa e accentramento di prelievo, quello che ci porta oggi a destinare un quarto del bilancio dello Stato ai trasferimenti a regioni ed enti locali.


LA LEGGE ELETTORALE

La seconda sfida riguarda la legge elettorale. Fra un anno ci sarà il referendum. I sostenitori, sin qui nascosti, del Porcellum escono finalmente allo scoperto. La legge sta funzionando molto bene per la Lega (lo sbarramento regionale all’8 per cento sembra fatto apposta per lei). Lo stesso Berlusconi, forse sotto la pressione della Lega, si è detto pronto ad andare al referendum difendendo questa legge elettorale.
Eppure il significato del referendum non si è perso col voto.È una legge che non permette la selezione e il rinnovamento della classe politica: dal voto emergerà un Parlamento con un quinto di donne e solo 42 deputati con meno di 35 anni. I nuovi entranti non hanno un titolo di studio più elevato di chi era già in Parlamento. Sono 6 i condannati in via definitiva che entrano alla Camera. Vedremo, a fine legislatura, se si è davvero ridotto il numero dei gruppi parlamentari. Prima del Porcellum erano otto ed è questa, dunque, la soglia con cui confrontarsi. Il voto ci dice anche che gli italiani vogliono partecipare.

La partecipazione al voto è tornata ai livelli del 2001: non c’è stata nessuna fuga dalla politica. Ma gli italiani vogliono anche tornare a esprimere preferenze, non intendono più firmare assegni in bianco ai segretari dei partiti. I sondaggi condotti dopo il voto dicono che due terzi degli italiani vogliono cambiare la legge elettorale.


RECUPERO DELL'EVASIONE

Il nuovo governo non può permettersi di buttare al vento i risultati ottenuti dall'esecutivo di Prodi nel recupero di evasione fiscale. È la terza sfida decisiva che attende questo governo. Non sarà facile dare agli italiani un segnale diverso dal lassismo fiscale con Giulio Tremonti al dicastero dell’Economia e sfatare la tradizione che vede le entrate calare, anche a parità di aliquote, durante i governi Berlusconi.
I temi economici sono, dunque, destinati a essere decisivi nel cammino del nuovo esecutivo. Speriamo che anche la nuova opposizione li segua da vicino dopo averli colpevolmente trascurati in campagna elettorale. Incomprensibile il suo silenzio sul federalismo (su cui aveva compito facile nell’illustrare come il programma elettorale del “principale esponente dello schieramento avverso” tagliasse pesantemente i trasferimenti alle regioni più povere) e sull’immigrazione. Paradossale che il centrodestra sia riuscito a dare un segnale di svolta nelle politiche sugli immigrati quando i flussi vengono ancora gestiti con la legge Bossi-Fini. Certo la passata legislatura ci ha messo di suo con l’indulto, che ha incoraggiato l’immigrazione dei criminali. Non sembra casuale che gli italiani, col voto di domenica e lunedì, abbiano voluto premiare soprattutto i due partiti, Italia dei valori e Lega, che si sono opposti all’indulto.


Dunque, c'è un netto vincitore in queste elezioni. Ha saputo, meglio di altri, interpretare ansie diffuse sul territorio, soprattutto al di fuori dei grandi centri urbani. Per rispondere alle aspettative dei propri elettori dovrà per forza di cose rimuovere i vincoli che da ormai vent'anni rallentano la crescita del nostro paese.

Auguriamoci tutti che ci riesca, completando anche l'opera di risanamento dei conti pubblici, indispensabile perché la turbolenza nei mercati finanziari non ci penalizzi. Ci vogliono circa due punti in meno nel rapporto fra spesa pubblica e Pil.

Federalismo fiscale, legge elettorale e recupero dell'evasione fiscale sono le tre sfide più impegnative del primo anno: al lavoro!


Bye!



Fonte: LaVoce

domenica 13 aprile 2008

Il "meno peggio"...



E' un modo d dire, un pensiro, un "luogo comune" che mai come in questo periodo di elezioni sento ripetere...
Peccato!
Peccato per chi ci crede, per chi ha lottato, per chi ancora spera che il sistema politico italiano, preso come esempio (negativo, ndr) da più parti nel mondo, riesca finlmente a mantenere almeno una parte delle inumerevoli promesse fatte... come da copione!

Con l'occasione, riporto un post di Beppe Grillo... Buona lettura!

Il meno peggio è figlio del peggio. E’ una sua creatura. Senza il peggio non potrebbe esistere il meno peggio. Il peggio è il punto di riferimento dell’italiano, gli serve da orientamento. L’italiano cerca sempre di migliorare rispetto al peggio, il meno peggio è un salto di qualità. L’italiano sceglie il dentista meno peggio, legge il giornale meno peggio, ascolta la trasmissione televisiva meno peggio, lavora per la società meno peggio, vota per il partito meno peggio, si fa operare nell’ospedale meno peggio, mangia nel ristorante meno peggio, guida per la strada meno peggio, telefona con la compagnia meno peggio, respira l’aria meno peggio, abita nell’appartamento meno peggio, usa il notaio meno peggio, si fa seppellire dalle pompe funebri meno peggio nella tomba meno peggio.Il peggio è il miglior alibi dei meno peggio. Piuttosto del peggio è sempre meglio il meno peggio. Meglio dell’Alitalia, di Testa d’Asfalto, della Telecom Italia, della RAI può fare chiunque. Senza il peggio chi avrebbe votato D’Alema, viaggiato Air One, ascoltato Rete 4 o telefonato con Wind? Però… c’è un però: perché si deve scegliere tra il peggio e il meno peggio? Perché questo ricatto? Io non voglio una vita meno peggio. La pretendo normale, anzi la voglio bella, ottima, eccellente. Forse non ci riuscirò, ma devo, ho l’obbligo, di provarci.Il meno peggio ci ha portato l’indulto, l’inciucio, i condannati in Parlamento, gli inceneritori, la Campania-Chernobyl, Mastella ministro della Giustizia, un debito pubblico di 1630 miliardi di euro, la crescita economica più bassa d’Europa, il precariato, l’informazione imbavagliata, una legge elettorale incostituzionale, la Forleo e De Magistris trattati come dei criminali. Tutto figlio del meno peggio. Il peggio e il meno peggio sono come due fratelli siamesi. Inseparabili dalla nascita. Se uno muore, l’altro lo segue subito.Il miglior elettore dello psiconano è stata la sinistra di D’AlemaViolanteFassinoLaTorre e di Topo Gigio che, novello leader, lo invita pubblicamente a definire insieme la nuova legge elettorale escludendo gli alleati di Governo. Il miglior elettore dei diessini-diossini, ora pidini, è Testa d’Asfalto. Senza di lui come potrebbero giustificare la loro esistenza? E’ da 15 anni che il peggio è il loro cavallo di battaglia. 15 anni di continuo sprofondare dell’Italia, di decisioni mai prese contro il peggio. Ma cosa potevamo aspettarci di diverso? Peggio o meno peggio, sempre peggio è.

Un video interessante ed "inquietante"...? Clicca quì.

Bye!

martedì 8 aprile 2008

Allarme Ecofin


I rischi nei mercati finanziari sono aumentati in misura significativa e i tassi 'forward' indicano l'aspettativa che le tensioni persisteranno minimo fino alla conclusione dell'anno.

È sulla base di tale analisi che l'Ecofin ritiene prematuro parlare di svolta o di ritorno alla normalità nonostante la recente ventata di ottimismo raccolto dalle Borse.

Sono quattro i pericoli principali secondo il Comitato economico e finanziario Ue in cui sono rappresentati i governi.

Primo, la propagazione dello stress di liquidità e il livello di concentrazione nei mercati monetari e nei mercati obbligazionario ed equity.

Secondo, l'estensione delle perdite nei settori bancario e assicurativo e i livelli di adeguatezza del capitale alla luce della disponibilità e del costo di nuovo capitale e dell'impatto sui bilanci.

Il terzo pericolo ha a che fare con le difficoltà di alcuni 'private equity' e 'hedge funds' con possibili effetti di contagio.

Il quarto proviene dall'industria assicurativa monoline (compagnie assicuratrici che forniscono garanzie ad un tipo particolare di clienti: gli investitori in obbligazioni. In cambio di una commissione, garantiscono il rimborso di determinate emissioni obbligazionarie) con l'impatto sui rating e i collaterali.

Al centro dell'attenzione le banche: i dati dei grandi gruppi dell'eurozona indicano che il calo del reddito, al netto delle imposte dovuto alle turbolenze, ammonterebbe a circa 22 miliardi di euro (cifra che potrebbe più che raddoppiare se si tenesse conto delle grandi istituzioni Ue extra eurozona). A febbraio l'Fmi indicava che le perdite globali ammontavano a 190 miliardi di dollari. Attualmente resta diffusa l'incertezza sulla scala e sulla distribuzione di ulteriori perdite mentre continua ad aumentare lo scarto tra le perdite stimate e quelle dichiarate.

Gli effetti di contagio nei mercati diversi da quello subprime (proprietà commerciale, bond, credito al consumo e più recentemente assicurazioni e hedge funds) si sono intensificati e possono costituire ulteriori problemi per i bilanci. Inoltre, non può essere esclusa una potenziale insolvenza di una importante controparte nei mercati "credit default swap" e nei mercati non regolamentati.

Per quanto riguarda i fondi assicurativi e pensione le esposizioni al rischio ai subprime appaiono essere piuttosto basse. Per il settore monoline i problemi emersi negli Usa possono invece continuare a costituire un rischio importante per la stabilità finanziaria nella Ue.

Le prospettive dell'industria che assicura i bond restano una preoccupazione dati i cambiamenti annunciati nei metodi di rating: ribassi delle valutazioni delle monoline potrebbero comportare effetti a catena nel più ampio mercato obbligazionario...

Staremo a vedere se, nonostante il positivo andamento delle Borse nella scorsa settiamna, è effettivamete troppo presto per parlare di "ritorno alla normalità"...

Bye

Fonte: MilanoFinanza

giovedì 3 aprile 2008

Statistiche false, disoccupazione vera


L’Italia ha gli stipendi più bassi d’Europa (fatta eccezione per qualche Paese dell’Est). Chissà da cosa dipende? Forse dalla legge della domanda e dell’offerta? E' quando c’è poco lavoro, infatti, che i salari diminuiscono. E allora l’Italia dei (quasi) tutti occupati e degli stipendi da fame come si spiega? Il tasso di disoccupazione del 6,1% nel 2007 è vero o è falso? Dipende… Statisticamente è vero, praticamente è falso.

I politici e l’informazione devono difendere la legge 30. La legge Maroni , l’ex ministro del lavoro che protegge solo i lavoratori di Malpensa nel suo feudo elettorale di Varese. Gli altri li precarizza! E' sufficiente guardarsi intorno per vedere che non c’è lavoro, per sapere che i precari aumentano, per capire che i soldi non bastano per arrivare a fine mese.

Il 6,1% di disoccupazione è falso. Il professor Gallegati lo spiega nella sua lettera, che riporto integralmente.

"In "Schiavi Moderni" il legame tra flessibilità ed occupazione è dimostrato essere falso. Quello che dovrebbe far riflettere politici ed economisti è che la storia dimostra che quando una merce è scarsa il suo prezzo aumenta. Perchè i salari italiani sono tra i peggiori d'Europa se la disoccupazione è così bassa? I salari in Italia non sono bassi per colpa del fisco, ma per un lavoro che non c’è.
Ci spiega Mondragone dell'ISFOL:
“In un mercato del lavoro duale (15% di occupati precari), la presenza di lavoratori atipici mal pagati contribuisce all'azione calmierante delle tensioni nel mercato del lavoro, alimentando un esercito di riserva interno, ovvero si è creato un sistema di sottomissione contrattuale di un 15% di lavoratori che altrimenti avrebbe sostenuto rivendicazioni (in primis salariali) che invece in questi anni sono state estremamente modeste e largamente inferiori a quelle dei paesi europei.” Altro che favorire l'inserimento lavorativo dei giovani!
Statisticulation (manipolazione statistica al fine di spacciare il falso col vero), è un neologismo che Darrell Huff introdusse oltre 50 anni fa in: “How to lie with statistics” (Come mentire con la statistica). E’ un libro pieno di esempi sul come ingannare “scientificamente” le persone: grafici di dubbia validità, figure riportate a metà, campioni viziati, risultati inaffidabili etc... Non saper leggere le statistiche è un problema di ignoranza, ma travisarne il significato per avallare interpretazioni false (è quello che stanno facendo i politici e la grancassa dell’informazione schierata) da cui far discendere decisioni di politica economica che incideranno nelle vite dei nostri figli e delle nostre è irresponsabile, e per giunta esser trattati da cretini non ci va più.
Secondo l’ISTAT, la disoccupazione nel 2007 in Italia ha un tasso del 6,1%, in calo dal 6,8% del 2006. Un calo, precisano i ricercatori, in realtà strettamente connesso all'aumento dell'inattività: lo scorso anno, infatti, il numero di persone in cerca di occupazione è calato del 10 per cento rispetto a un anno prima (-167mila), in particolare al Sud, dove le donne inattive sono in crescita continua dal 2004, e nel 2007 hanno raggiunto i 4,5 milioni. Forse sarà opportuno ricordare che il tasso di disoccupazione è misurato dal rapporto tra numero di disoccupati che cercano lavoro e numero di lavoratori attivi . Essendo una divisione, basta che il numeratore diminuisca per far calare il tasso di disoccupazione: appunto quel che succede in Italia dal 2004. Un argomento portato a supporto dell’efficacia della legge 30/Maroni è che, da quando è stata introdotta, il tasso di disoccupazione si è ridotto. Da noi la quota di persone che non cercano lavoro è aumentata molto di più negli ultimi anni che nel resto d´Europa. Secondo l’OECD il rapporto tra chi non cerca lavoro e forze lavoro è passato dal 2% del 2001 a oltre il 6% del 2007, mentre negli altri paesi europei c´è stata un´inversione di tendenza: non sorprende l’esplosione dei lavoratori che non cercano più, soprattutto giovani e donne residenti nel Sud, che trovano impiego nel lavoro nero.
Un altro problema ignorato da politici e mass media, è che nel primo trimestre 2007 i disoccupati in Italia sono circa 1.600.000: per l’ISFOL 900.000 di questi sono precari, ovvero più della metà dei disoccupati in Italia è precaria. Quando un precario è disoccupato nessuno gli versa contributi per quella pensione “da fame” che si ritroverà tra qualche anno (almeno un milione di precari negli ultimi 10 anni ha lavorato con contributi che daranno pensioni sotto la minima). Il reddito netto annuo di un “permanente” è in media di 15 mila € e di un “precario” di 10 mila €. O ancora: il 12% occupati è atipico (ma tra i giovani la percentuale sale ad oltre il 40%) e questo numero è destinato a salire in quanto ogni anno il rapporto tra “nuovi” precari e precari che si stabilizzano (diventano cioè lavoratori a tempo indeterminato) è di 2 a 1. La questione precari è destinata ad esplodere: dove sono le proposte della politica? Oltre ad abolire l’articolo 18, si intende. Un abbraccio un po’ scoraggiato.”

Bye

martedì 1 aprile 2008

I nuovi correntisti...


Non è vero che i conti correnti sono tutti uguali.

Ci sono conti a costo zero (a parte il bollo di 34,20 euro l’anno)... e ci sono conti all inclusive che costano oltre 200 euro l’anno (ma offrono anche l’esclusiva carta Black o Platinum). Ci sono conti ad alto rendimento (fino al 6% in promozione, e 4% base), e conti che danno lo zero virgola.
Come rileva il VI Rapporto sui Conti Correnti 2008 di Of-Osservatorio finanziario, oggi ogni correntista ha la possibilità di cambiare banca a costo zero.

La buona notizia è che l’offerta di conti online, quelli a zero spese per il correntista che predilige l’operatività via internet, è in crescita. Secondo il Rapporto i conti fai da te a canone zero oggi rappresentano il 40% del campione preso in esame, rappresentativo dell’intero sistema bancario italiano e costituito da oltre 40 banche commerciali e popolari, italiane e straniere, piccole e grandi. Era il 16% poco più di un anno fa (ottobre 2006), il 4% a fine 2005. La percentuale di conti “low cost” sale al 47,5% se consideriamo una giacenza media superiore ai 6.000 euro: alcune banche, infatti, ad esempio Banca Mediolanum, BPI e Banca Sai, rendono esenti le spese annuali se la giacenza è superiore ad un certo importo (rispettivamente, 6.000, 3.000 e 1.000 euro). Rispetto al mese di ottobre 2006, l’Osservatorio finanziario registra una crescita del 100% nell’offerta di conti a canone zero.

Il risultato è che nel 2007 il costo medio dei conti correnti è diminuito, a conferma di un trend già registrato da Of nel corso dell’anno precedente. La media delle spese di tenuta conto annuali, all’interno del campione analizzato, è scesa dai 38 euro del novembre 2006 ai 27,7 euro del gennaio 2008 (22,6 euro se si considera una giacenza media superiore ai 6.000 euro). Un dato significativo se si considera che le spese medie di tenuta conto del campione ammontavano a 98,5 euro nel giugno del 2005.

Il merito è soprattutto delle banche che negli ultimi mesi hanno lanciato nuovi conti fai da te a costo zero: tra le altre, Unipol Banca (Conto Evvai), Antonveneta (Conto internet), Banca Popolare di Verona (Conto Specchio Online), BPI (Conto Doppio Zero), Intesa Sanpaolo (Zero Tondo, prima lanciato dal Sanpaolo, poi “assorbito” anche dalla rete Intesa, dopo la fusione), Deutsche Bank (conto Doppio Zero), Banca delle Marche (Base Zero), Banca Popolare di Bari (Zero24), Banca Sara (Conto Elite).

L’entità del fenomeno “conti a zero spese” è tale da poter concludere che, nel 2007 è finalmente nato il mercato dei conti correnti. È vero. Anche prima c’erano le banche, e ce n’erano tante. Anche prima c’erano i conti correnti, tantissimi. Ma, a parte qualche rara eccezione, si assomigliavano tutti: costi di gestione elevati, e remunerazione vicina allo zero.

Cosa è successo nel 2007?
Da un lato le ripetute denunce della Commissione Europea, che anche nel Rapporto 2007 sull’integrazione dei mercati finanziari nell’UE, pubblicato a dicembre, denunciava “i conti correnti italiani sono i più cari d’Europa”. Dall’altro lato, il primo pacchetto Bersani, che, eliminando i costi di estinzione del conto, ha avuto il merito innegabile di rendere la chiusura del rapporto con la banca un’opzione praticabile e a costo zero. Infine, l’aumento dell’offerta di conti online da parte delle banche, che anche grazie all’ “effetto Bersani”, hanno iniziato a farsi concorrenza, proponendo offerte più aggressive, a cominciare dall’abbattimento delle spese di tenuta conto.

Ma il boom dei conti fai da te è anche la logica conseguenza di un ragionamento sempre più diffuso: se vale l’equazione “conto online uguale meno costi”, perché pagare di più? I clienti finalmente cominciano a “fidarsi” della banca online, e, soprattutto, ad utilizzarla. Perché hanno scoperto che il conto online non solo costa meno... molto meno, ma (in alcuni casi) fa anche guadagnare di più!

Bye!