venerdì 29 giugno 2007

TFR: Beppe Scienza consiglia...

Che i lavoratori abbiano intenzione di tenersi il Tfr ben stretto... è cosa certa!

Negli ultimi giorni, a "facilitare" la scelta, ci si è messa anche la frenata delle borse asiatiche e, a mo’ di effetto domino, degli altri listini.

Di fronte alla minaccia di un possibile crollo dei mercati, quale decisione migliore se non quella di lasciare la liquidazione in azienda?
Insomma, alla freddezza iniziale verso i fondi pensione, si è aggiunto il timore che i gestori -nonostante le promesse più allettanti - possano mandare in fumo i soldi per la vecchiaia!

Riporto l'opinione del prof. Beppe Scienza, docente di Metodi e modelli per la pianificazione economica all’Università di Torino, che in tempi non sospetti ha sollevato il problema (qui il video) nel suo libro Il risparmio tradito (ve lo consiglio!) e, conti alla mano, ha spiegato - nel nuovo volume La pensione tradita - perché conviene tenere il Tfr in azienda.

Professor Scienza, che rischi ci sono in caso di frenata delle Borse?
Partendo dal fatto che nessuno può sapere se questo accadrà o meno, c’è la possibilità di pesanti perdite, come capitò con gli investimenti azionari e obbligazionari negli anni Settanta. E come sarebbe capitato ai fondi pensione, per fortuna allora in Italia non ancora esistenti. Il gestore ci guadagna comunque vadano le cose. Il rischio è scaricato tutto sul lavoratore, che può guadagnarci o rimetterci anche molto.

Quindi meglio tenersi alla larga dalla previdenza complementare?
I fondi pensione stanno adeguando i loro regolamenti, non si sa ancora come saranno i comparti garantiti e non se ne conoscono i gestori. Quindi non esito a consigliare di comunicare subito la propria decisione di conservare il Tfr in azienda – che poi venga trasferito all’Inps non cambia nulla per il lavoratore – e di rinviare di almeno un anno l’eventuale adesione a qualche fondo pensione o, al limite, a una forma previdenziale individuale (Fip), anche in funzione di quello che faranno i mercati.

Il legislatore ha previsto garanzie affinchè la gestione dei fondi sia trasparente?
La legge sulla previdenza complementare non impone nessuna particolare trasparenza, per cui è scontato che essa sarà ancora minore rispetto a quella dei fondi comuni d’investimento che è già carente.

Cosa assolutamente non va nella riforma della previdenza complementare?
Oltre alla subdola clausola del silenzio-assenso, una grave disparità di trattamento. Chi tiene il Tfr nella forma attuale potrà sempre cambiare idea. Chi invece passa alla previdenza complementare, non potrà mai tornare sui suoi passi!

Dunque, ci siamo! A voi la scelta...

mercoledì 27 giugno 2007

"Matrimonio" tra Borse... con qualche punto interrogativo.

A pochi giorni dal richiamo del governatore sui pericoli dell’isolamento della Borsa italiana, arriva la notizia dell’imminente aggregazione tra il mercato di Milano e quello di Londra. Durante la scorsa settimana, i consigli di amministrazione delle due società-mercato hanno dato il loro benestare all’operazione, che dovrà passare al vaglio delle rispettive assemblee in agosto.

La risposta alla sollecitazione di Mario Draghi non avrebbe potuto essere più tempestiva e spettacolare, dato il prestigio e il crescente ruolo internazionale della piazza londinese.

Passata l'euforia iniziale però, occorre chiedersi quali siano i reali fattori di successo dell’operazione, quali gli eventuali ostacoli e – soprattutto – chi ne trarrà i benefici.

I vantaggi dell’aggregazione.

Sulla necessità che la Borsa italiana trovasse un partner in tempi rapidi non vi sono dubbi.
Vanno in questa direzione le indicazioni della teoria economica, che vede i vantaggi del consolidamento tra borse nelle economie di scala:
- dal lato dell’offerta (contenimento dei costi);
- dal lato della domanda (maggiore liquidità, grazie alla partecipazione di un maggiore numero di traders allo stesso mercato).

Vanno nella stessa direzione le evidenze accumulate di recente, tra le quali:
- l’alleanza di alcuni mercati europei (Parigi, Amsterdam, Bruxelles e Lisbona) prima tra di loro e poi con quello di New York, dando luogo a Nyse-Euronext;
- l’aggregazione tra i mercati nordici (Stoccolma, Helsinki, Copenaghen e altri minori) in Omx e ora con il Nasdaq.

Di fronte a questi movimenti, un mercato che resti isolato rischia la progressiva emarginazione, come insegna la storia di alcuni mercati regionali statunitensi (quali Boston e Detroit).

Se l’accordo tra Lse e Borsa Italiana consente a quest’ultima di uscire dall’isolamento e di essere valorizzata, è conveniente anche per Londra, in particolare per il suo management. L’abile Clara Furse, amministratore delegato del Lse, riesce a mettere una "pillola avvelenata" nel piatto del Nasdaq, protagonista di un’Opa ostile sul mercato londinese, fallita alcuni mesi fa: la partecipazione azionaria del mercato americano in Lse risulterà diluita a seguito dell’operazione, e il costo di un’eventuale altra Opa sarà ancora maggiore rispetto a quella passata.

È possibile che, nell’assemblea di agosto, il Nasdaq riesca a mettere qualche bastone tra le ruote al progetto, che nella versione attuale lo esclude dalla governance della nuova società-mercato.

L’impatto sulla concorrenza tra mercati.

Un aspetto delicato dell’operazione è costituito dall’impatto sulla concorrenza tra mercati.
Al contrario della Borsa di Londra, quella di Milano presenta un forte grado di integrazione verticale: le società che gestiscono gli scambi e le fasi successive allo scambio (Cassa di compensazione e garanzia e Monte titoli) appartengono allo stesso gruppo. Questa è una caratteristica del mercato italiano che non piacerà alle autorità antitrust inglesi... e per dei buoni motivi! I legami verticali, infatti, si prestano a un utilizzo anticoncorrenziale: ad esempio, una società-mercato può indurre le sue strutture di post-trading a penalizzare altri mercati che volessero utilizzare quelle strutture per farle concorrenza – offrendo servizi di scambio sugli stessi titoli. Già in occasione dei progetti di fusione tra Lse e la Borsa di Francoforte o quella di Parigi (poi finite in nulla), la Competition Commission si era espressa in via preventiva molto chiaramente: il benestare alle operazioni era subordinato all’allentamento dei legami verticali, sia attraverso una riduzione della partecipazione azionaria delle società di trading in quelle di post-trading, sia riducendo la presenza della prime nei cda delle seconde, sia grazie a impegni a non utilizzare in modo discriminatorio le strutture di post-trading.
Se la Competition Commission dovesse intervenire ed essere altrettanto esigente con la Borsa italiana, qualche caratteristica rilevante del progetto d’integrazione con Londra dovrà essere meglio definita.

Dunque, chi si gioverà dell’operazione?

Gli azionisti e i manager delle società-mercato sono chiaramente interessati all’accordo!

E gli investitori? Vi sono i benefici che derivano dalla maggiore liquidità di un mercato integrato, grazie all’opportunità di accesso reciproco Milano-Londra per gli intermediari.
Resta il punto di domanda dell’impatto sui costi di transazione: sotto questo profilo, la Borsa italiana è attualmente tra le migliori in Europa, mentre lo stesso non si può dire per il Lse!

Qualche operatore ha già intravisto la minaccia di un aumento dei costi: se ciò avvenisse, una parte del mercato – gli utenti – resterebbe delusa da un’operazione all’apparenza brillante.

purtroppo, come in tutti i settori caratterizzato da una struttura industriale monopolistica, brillante, il rischio che i clienti siano sacrificati è elevato...!

martedì 26 giugno 2007

Borse mondiali: una tranquilla ottava di paura...

Quella appena passata è stata una settimana borsistica particolare: in Europa l'indice tedesco sulla fiducia delle imprese cala e gli investitori si spaventano... anche gli Usa, alle prese con i subprime, sudano freddo... in Asia, intanto, si teme che la Banca centrale cinese possa diventare un esempio per le altre.

I temi che hanno tenuto banco sui mercati internazionali nell’ottava sono stati grosso modo gli stessi della settimana precedente: la situazione macroeconomica dei Paesi più grandi, le attese per le scelte di politica monetaria e l’andamento delle obbligazioni (soprattutto quelle a stelle e strisce).

Tutto questo, spiegano gli analisti, non è un bel segnale: significa che la maggior parte degli operatori non ha idee di investimento o preferisce non correre rischi!
C’è da aggiungere, sottolineano però gli esperti, che questo storicamente è un periodo in cui gli investitori fanno cassa in preparazione di nuove strategie.

Europa.
L’indice Msci del Vecchio continente ha chiuso la settimana in sostanziale pareggio a causa dei segni negativi registrati sul finire dell’ottava. A pesare sull’andamento delle Borse europee è stato l’ultimo dato dell’Indice Ifo tedesco che misura la fiducia delle imprese. L’indicatore tedesco a maggio è passato a 107 contro il 108,6 segnato ad aprile e il 108,4 atteso dagli economisti. Il risultato ha spaventato gli investitori che studiano sempre con molta attenzione quello che succede nella prima economia di Eurolandia.
Il dato in discesa, spiegano dalle sale operative, è una delusione soprattutto per tutti coloro – e sono molti – secondo cui il Vecchio continente è destinato a soppiantare gli Stati Uniti come locomotiva dell’economia mondiale. A soffrire sono stati soprattutto i titoli delle società finanziarie, sempre molto sensibili ai segnali di andamento dell’economia, già provate dalla nuova crisi dei subprime che sta emergendo negli Stati Uniti.

Usa.
Non hanno avuto tempo di annoiarsi questa settimana gli operatori che lavorano sui listini americani. Chi stava tirando un sospiro di sollievo pensando di aver superato indenne la crisi dei mutui per le persone meno abbienti (i cosiddetti subprime) che due mesi fa stava mandando a gambe all’aria il sistema finanziario americano ha ricominciato a sudare freddo. A farli tremare questa volta è stata la banca Bear Stearns che ha dovuto chiudere due fondi eccessivamente esposti proprio nel comparto dei subprime. Se un istituto così forte nei mutui ha dovuto ricorrere a misure drastiche, spiegano gli operatori, è probabile che altri siano nelle stesse condizioni. La paura è che il comparto bancario e quello assicurativo debbano procedere a svalutazioni che avrebbero impatti imprevedibili sui bilanci.
Gli effetti di questa situazione si sono fatti sentire sul mercato dei Treasury: la differenza di rendimento fra i bond a 10 anni e quelli a due anni si è allargata di 23 punti base a vantaggio delle obbligazioni a lungo termine (un livello che non si vedeva da ottobre del 2005). Gli investitori che sono scappati da Bearn Stearn e, in generale, dal comparto finanziario, hanno comprato a piene mani bond a breve per cercare di avere in mano asset liquidi. I prezzi del due anni ha avuto di conseguenza un rialzo settimanale che non vedeva da aprile.
...Ma non è detto, spiegano gli analisti, che sia la strategia migliore. Se le banche inizieranno a mettere sul mercato le obbligazioni che hanno in portafoglio cercando di fare cassa nel tentativo di reagire alla crisi, per il settore obbligazionario potrebbero avvicinarsi tempi duri.

Asia.
Dopo quattro giorni di rialzi i mercati asiatici sono scivolati. L’indice Msci della regione, tuttavia, a fine ottava ha registrato una crescita vicina al 2% (in euro). Sui listini asiatici sembra arrivata all’improvviso la paura di una stretta da parte delle banche centrali sulla scia di quella che potrebbe attuare la Cina nei prossimi giorni per tirare il morso a una crescita economica galoppante e, di conseguenza, tenere a bada l’inflazione.
L’effetto, come al solito in questi casi, si è fatto sentire sui titoli finanziari e immobiliari. Dagli uffici studi delle banche internazionali, intanto, analisti ed economisti cercano di rassicurare gli investitori. L’economia della regione, spiegano, è solida e ha tutti i numeri per continuare a crescere.
Anche dal punto di vista finanziario la situazione è sostenibile tanto che, anche in caso di rallentamento dell’economia mondiale (e in particolar modo americana da cui dipende la maggior parte dell’export della regione), l’Asia avrebbe le spalle la forza per resistere al colpo.

Ebbene si, la paura è arrivata sulle principali Borse mondiali... e mentre alcuni listini si sono fatti prendere subito dal panico, altri hanno iniziato a tremare solo a ridosso del week end...

giovedì 21 giugno 2007

Wall Street: Odyssey Marine vola in borsa dopo il recupero di un galeone!

È il sogno di tutti i ragazzini, e ha fatto sognare persino Wall Street!

...Sembra tutto uscito da un fumetto o da un romanzo di avventure: il tesoro ritrovato in una nave coloniale in fondo all’Atlantico... il relitto appoggiato sul fondale e, dentro... forzieri colmi di gioelli, monete d’oro!

Quel ritrovamento ha avuto ripercussioni a Wall Street: infatti, ha messo le ali ai titoli della società americana che ha riportato alla luce 500 mila dobloni d'argento (17 tonnellate di peso), centinaia di monete d’oro, gioielli e vasellame d’oro per un valore stimato in 500 milioni di dollari.

In pochi giorni le quotazioni della Odyssey Marine Exploration sono più che raddoppiate sui listini di New York fino a superare la soglia degli otto dollari.

La società era attraccata in Borsa nel 1998 con l’obiettivo di far guadagnare soldi ai suoi azionisti attraverso un business dal fascino esotico: il recupero di relitti sommersi.
Si tratta di un’insolita forma d’investimento alternativo che, nata negli Stati Uniti, da alcuni anni è approdata anche da questa parte dell’Oceano.

Le azioni della Odyssey non avevano però ripagato le aspettative dei numerosi risparmiatori con il titolo che a fine 2000 si era inabissato fino a raggiungere il livello di 10 centesimi. Soltanto un fortunato ritrovamento avvenuto nel 2003 davanti alle coste americane (75 milioni di dollari) aveva riportato a galla la quotazione e i bilanci della società.

Il business dei tesori sommersi è sicuramente allettante e per questo negli anni sono sorte molte società concorrenti della Odyssey: gli esperti stimano che nei mari di tutto il mondo si nascondano fortune per un valore che ammonta a 20 miliardi di euro!

Dunque... pronti a salpare!!!!

giovedì 7 giugno 2007

Tfr, fondi pensione e rischi finanziari

S i avvicina il termine dl 30 giugno per la scelta sulla destinazione del Tfr. Ci sono alcuni punti che non sono ancora molto chiari e che, a mio giudizio, non sono stati affrontati con la dovuta attenzione.

In particolare vorrei soffermarmi su queste tre questioni:

1) Tfr in azienda per scelta espressa del dipendente. In caso di fallimento dell’azienda vi è garanzia formale e sostanziale dell’Inps alla restituzione dei capitale e del rendimento?
2) Tfr in fondo di categoria per scelta espressa del lavoratore. In caso di fallimento del fondo vi è una garanzia, formale e sostanziale alla restituzione del capitale accumulato?
3) Quali garanzie operano, invece, nel caso in cui il Tfr finisca ai fondi con la modalità del silenzio assenso?

Vediamo punto per punto...

1) In caso di fallimento dell’azienda, il pagamento del Tfr è assicurato grazie allo speciale fondo di garanzia costituto presso l’Inps. La procedura, ovviamente, non è velocissima ma il lavoratore può godere di una tutela elevata.

E veniamo alla previdenza complementare.

2) E’ difficile che un fondo pensione possa fallire, perché la normativa è piuttosto severa. Il patrimonio del fondo è separato, esiste una banca depositaria, dove confluiscono i versamenti, che, tra l’altro, controlla che la gestione sia in linea con quanto stabilito dagli organi del fondo. Inoltre ci sono anche i controlli della Covip. La regolamentazione è molto simile a quella dei fondi comuni, che in oltre 20 anni di carriera non sono mai falliti.

Il vero problema dei fondi è che, in linea di massima, non offrono un rendimento garantito, cosa che avviene, invece, per la liquidazione che si rivaluta annualmente in misura pari al 75% dell’inflazione più l’1,5%. In pratica il Tfr conservato in azienda, o confluito all’Inps se questa ha almeno 50 dipendenti, offre un rendimento positivo fino a un’inflazione del 6%.

Quindi, se si trasferisce il Tfr ai fondi pensione, il rischio di fallimento è praticamente nullo, mentre si corre un rischio finanziario, cioè di incassare meno di quanto versato o di ottenere un rendimento assai inferiore a quello garantito dalla liquidazione. Anche se in un investimento di lungo periodo questi rischi dovrebbero essere minimi.

3) Il Tfr che confluirà ai fondi in seguito al silenzio assenso verrà investito in linee a contenuto più prudenziale tali da «garantire la restituzione del capitale e rendimenti comparabili» al Tfr». Insomma rischi ridotti al minimo, ma anche rendimenti sottili.

Dunque, tutto si riconduce alla classica scelta rischio/rendimento?
No, non è così semplice... in questo caso gli aspetti più importanti riguardano l'informazione (disinformazione?), la chiarezza (confusione programmata?) e la trasparenza verso chi deve decidere dove destinare il TFR: solo con la presenza di tali requisiti la SCELTA potrà essere considerata tale!

mercoledì 6 giugno 2007

Joseph E. Stiglitz, premio Nobel per l’Economia.

"...dall’Italia giungono notizie allarmanti: la legge sul primo
impiego viene ritirata in Francia dopo poche settimane di
mobilitazione studentesca e da voi la legge 30 resiste senza
opponenti dopo anni...

...Nessuna opportunità è più importante dell’opportunità di avere un lavoro.

Politiche volte all’aumento della flessibilità del lavoro, un tema che
ha dominato il dibattito economico negli ultimi anni, hanno
spesso portato a livelli salariali più bassi e ad una minore
sicurezza dell’impiego. Tuttavia, esse non hanno mantenuto
la promessa di garantire una crescita più alta e più bassi tassi
di disoccupazione
. Infatti, tali politiche hanno spesso
conseguenze perverse sulla performance dell’economia, ad
esempio una minor domanda di beni, sia a causa di più bassi
livelli di reddito e maggiore incertezza, sia a causa di un
aumento dell’indebitamento delle famiglie. Una più bassa
domanda aggregata a sua volta si tramuta in più bassi livelli
occupazionali.

Qualsiasi programma mirante alla crescita con giustizia
sociale deve iniziare con un impegno mirante al pieno
impiego delle risorse esistenti, e in particolare della risorsa
più importante dell’Italia: la sua gente.

L’Italia necessita di migliori politiche volte a sostenere la domanda aggregata...
ma ha anche bisogno di politiche strutturali che vadano oltre
e non facciano esclusivo affidamento sulla flessibilità del
lavoro
....

...Condivido l’idea per cui le rigidità che ostacolano la crescita di un’economia
debbano essere ridotte. Tuttavia ritengo anche che ogni riforma che
comporti un aumento dell’insicurezza dei lavoratori debba
essere accompagnata da un aumento delle misure di
protezione sociale
. Senza queste la flessibilità si traduce
in precarietà.


La legislazione non può prevedere che la flessibilità del lavoro
si accompagni a salari più bassi; paradossalmente, maggiore
la probabilità di essere licenziati, minori i salari, quando
dovrebbe essere l’opposto.


Perfino l’economia liberista insegna che se proprio volete comprare un
bond ad alto rischio (tipo quelli argentini o Parmalat, ad alto rischio di
trasformazione in carta straccia), vi devono pagare interessi molto alti.

I salari pagati ai lavoratori flessibili devono esser
più alti e non più bassi, proprio perché più alta è la loro
probabilità di licenziamento.


In Italia un precario ha una probabilità di esser licenziato
nove volte maggiore di un lavoratore regolare, una probabilità
di trovare un nuovo impiego, dopo la fine del contratto,
cinque volte minore e fino al 40% dei lavoratori precari è
laureato
. Ma se li mettete a servire patatine fritte o nei
call-center, perché spendere tanto per istruirli?"

...Che dire: meglio di così, la situazione italiana, non può essere descritta!

Posso solo aggiungere che, in effetti, qualche anno fa... ho vissuto in prima persona la "corsa italiana" ad un posto in Europa... era fondamentale entrare per primi... era essenziale non mancare l'appuntamento... era indispensabile l'unione monetaria per agevolare gli scambi nell'area Euro, e conseguentemente la competitività/crescita delle imprese italiane (con sicuri "effetti benefici" sulla qualità della vita)... era sbandierata ai quattro venti la necessità di una forza lavoro professionalmente molto preparata e disposta a sopportale la crescente mobilità indispensabile in un contesto di globalizzazione...

Ora che tutti i traguardi fondamentali (o pseudo tali) sono stati raggiunti... alzi la mano (o meglio, scriva un post) chi non ha quella spiacevole sensazione di... essere stato preso per i fondelli!

martedì 5 giugno 2007

Costi ADSL... Italia vs Europa

Altroconsumo ha pubblicato un'inchiesta sulle tariffe adsl in Europa.

In Italia navigare in internet costa caro, molto più che in altri Paesi dell'Ue.

Un pò di numeri:

per un uso medio della Rete (un'ora al giorno di connessione, 30 al mese) la forbice delle tariffe in Europa è ampia: si va dai 10 euro offerti dal provider olandese 12Move ai 47,44 euro dello spagnolo Telefonica. Ai primi posti in classifica si trova l'italiano Tele2 Adsl Flat 2 Mega che costa comunque 18,90 euro al mese, cioè molto di più dei contratti meno cari nei Paesi Bassi e in Francia.

Per un uso elevato della Rete (5 ore al giorno di connessione, 150 al mese), ben cinque Paesi su sette sono più convenienti dell'Italia! (Francia, Paesi Bassi, Germania, Regno Unito, e Portogallo offrono tariffe più contenute).
I contratti più economici del Bel Paese, Tiscali Adsl 12 Mega Flat e Wind Libero Mega sono a 29,95 euro, cioè il doppio rispetto al più conveniente in Europa, il provider francese Club Internet (14,90 euro).

La colpa di tutto questo... é la mancanza di concorrenza: il mercato e' ingessato, la concorrenza non gioca e tutti gli operatori sono allineati sui prezzi dell'ex monopolista, Telecom Italia. Con ripercussioni sulla convenienza delle offerte.

Nota positiva: rispetto ai dati registrati in un'inchiesta analoga due anni fa, i prezzi sono comunque più bassi anche in Italia, pur essendo aumentata la velocità di connessione.

Vedremo cosa succederà nel prossimo biennio...

Il mercato europeo dei servizi finanziari.

La direttiva Mifid (Markets in financial instruments directive) rappresenta una grande sfida con la quale in questo periodo si stanno confrontando operatori, regolatori e Autorità di vigilanza.
L'obiettivo del legislatore comunitario è quello di definire un nuovo quadro regolamentare in grado di creare un vero e integrato mercato europeo dei servizi finanziari.

La precedente direttiva, la 93/22/Ce, aveva sicuramente rappresentato un importante passo verso questo obiettivo, ma non era più sufficiente, sia perché ormai obsoleta rispetto alle radicali trasformazioni intervenute dopo l’introduzione della moneta unica sia, e soprattutto, perché conteneva principi di carattere generale che finivano con il lasciare troppi margini di discrezionalità ai singoli Stati membri generando così approcci diversi nella regolamentazione che frenavano la competitività sui mercati.

La scelta è stata quella di passare da una "armonizzazione minima" a una "armonizzazione forte", con una disciplina più dettagliata e prescrittiva per creare un contesto di maggiore omogeneità normativa e favorire la concorrenza e l’innovazione sui mercati.
La direttiva interviene su molteplici aspetti, dalle regole di comportamento e di trasparenza per consentire agli investitori scelte consapevoli alla organizzazione dei mercati, alla abolizione dell’obbligo di concentrazione degli scambi, alle norme sulla best execution.

Recentemente il ministero del Tesoro ha pubblicato la bozza di decreto di recepimento, sulla quale si sta ancora discutendo; nel frattempo, però, la Commissione Europea ha, a sua volta, avviato una procedura di infrazione per il mancato rispetto dei tempi previsti dalla direttiva, anche se, va detto, siamo in buona compagnia con altri 23 Stati!

Tra regole e vigilanza, c’è però un aspetto di carattere generale che merita una riflessione. La scelta di seguire la linea della "armonizzazione forte" probabilmente potrà avere effetti benefici: la creazione di un sistema di norme meno frammentato previene arbitraggi regolamentari e consente a operatori e mercati una competizione ad armi pari facilitando i processi di consolidamento.

E gli investitori, ovunque vadano, potranno usufruire di un apparato omogeneo di tutele!

Non vi è dubbio, però, che questa scelta comporta elevati costi di compliance per intermediari e mercati, in un contesto dove, proprio sul piano comunitario, si stanno intensificando gli sforzi per realizzare un sistema di regole attento all’impatto economico sugli operatori e ispirato a criteri di analisi costi/benefici.

Bisognerà, quindi, trovare un difficile equilibrio tra una disciplina molto dettagliata e l’esigenza di minimizzare i costi della regolazione. E anche per le Autorità di vigilanza sui mercati finanziari si aprono nuove prospettive. Se la direttiva stimolerà ulteriormente le attività cross border, lo sviluppo di intermediari pan-europei e l’integrazione dei mercati, c’è da chiedersi se abbia ancora un senso conservare la giurisdizione nazionale delle singole Autorità.

L’attività di coordinamento tra gli Stati membri ha indubbiamente raggiunto risultati importanti, ma forse è venuto il momento di pensare a forme di più stretta integrazione anche nella organizzazione della vigilanza sul piano comunitario.

La direttiva Mifid, dunque, è destinata a cambiare profondamente il funzionamento dei mercati finanziari...

sabato 2 giugno 2007

Le Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia.

Le Considerazioni finali del governatore della Banca d'Italia sono state, come ci si attendeva, brevi, snelle e incisive. Dopo un'introduzione dedicata prima all'importante riorganizzazione in corso nella Banca e poi all'economia internazionale, si sono concentrate sui problemi della crescita in Italia, sulla finanza pubblica e sul consolidamento del sistema bancario.

Provo a sintetizzare… Questi i punti:
- L’Italia ha ripreso a crescere e le sue imprese stanno reagendo positivamente agli stimoli della concorrenza globale e del progresso tecnologico.
- C'è uno spostamento delle produzioni verso i settori più innovativi e profittevoli.
- L'internazionalizzazione va estendendosi alle piccole imprese.
- Si adottano tecnologie e modelli di gestione innovativi.
- Migliora e si ringiovanisce il personale.

L'indispensabile trasformazione fa le sue vittime: per ogni impresa che nasce ce n'è più di una che muore. La dimensione media cresce, anche se con troppa inerzia.
...Significativa la correlazione negativa fra i risultati aziendali e l'età del management.


Scuola e università significano investimento in capitale umano e in nuove conoscenze tecniche e scientifiche. Draghi ha ricordato che «la povertà delle conoscenze è l'anticamera della povertà economica». Non occorrono risorse più abbondanti ma un loro migliore orientamento, guidato da efficaci sistemi di valutazione della didattica e della ricerca. Servono incentivi e responsabilizzazione dei docenti, autonomia finanziaria, remunerazioni e carriere basate sul merito.

Il settore dei servizi è il più importante dell'economia: va stimolato con maggiore concorrenza ad aumentare l'efficienza e a ridurre i costi per gli utenti. I ritardi più gravi sono nel settore dei servizi pubblici locali.

l compito principe della politica dovrebbe essere quello di vincere le resistenze corporative dei gruppi di interesse avversi alle liberalizzazioni.

L'inefficienza della giustizia civile, che è cruciale per lo sviluppo economico, è imperdonabile e nuoce, fra l'altro, alla modernizzazione del mercato del lavoro, dove i procedimenti giudiziari sono lentissimi.

Parlando di finanza pubblica, Draghi ha insistito sul fatto che il riequilibrio del deficit è avvenuto soprattutto per l'aumento delle entrate mentre l'abbattimento del debito richiede stabili riduzioni della spesa corrente, che offre margini di risparmio in tutti i suoi capitoli. Ha ribadito l'urgenza degli interventi sulle pensioni, lungo le linee della riforma da tempo impostata per equilibrare nel lungo periodo contributi e prestazioni. Ha sollecitato lo sviluppo della previdenza complementare e si è spinto fino a suggerire che verso questa venga spostata anche una quota della contribuzione oggi destinata alla previdenza pubblica.

Sul tema del sistema bancario italiano l'accento più importante è stato sul consolidamento in atto, con fusioni e acquisizioni che stanno dando luogo, fra l'altro, a due dei maggiori gruppi europei.
Su due punti il governatore si è soffermato:
1. le modalità del consolidamento. Draghi, fin dal suo insediamento, ne ha sottolineato l'opportunità, in generale, e lo ha facilitato, anche eliminando il dirigismo implicito nell'obbligo di comunicazione preventiva che ha abolito. Il consolidamento deve andare dove lo porta il mercato.
2. la centralità del cliente: la concentrazione delle banche non deve indebolire la concorrenza e i suoi benefici devono tradursi nel miglioramento della qualità e nella riduzione dei costi dei servizi alla clientela. Su questo ha dato una sorta di appuntamento alle Considerazioni finali dell'anno prossimo: si è augurato di poter allora congratularsi con le banche anche per come hanno fatto partecipare la loro clientela ai vantaggi della concentrazione.

Condivido queste considerazioni, nella speranza che a queste belle parole... seguano fatti concreti!

Allora... appuntamento alle considerazioni finali dell'anno prossimo.

venerdì 1 giugno 2007

Stipendi “under 30”: la caduta dei laureati.

Questo post approfondisce un tema gia affrontato su FilBlog!!! ("La svalutazione della Laurea")

I dati sono quelli del rapporto di OD&M sulle retribuzioni dei giovani realizzato per Miojob:
nel 2006 busta paga dei laureati è risultata più “leggera” del 2003... crescono invece le retribuzioni dei diplomati soprattutto quelle dei tecnici-professionali.

Più nel dettaglio.

Nel 2003 un laureato con un’età compresa tra 24 e 30 anni occupato in un’attività impiegatizia si portava a casa uno stipendio lordo annuo pari a 22.936 euro.
Nel 2006 lo stipendio supera di poco i 24 mila euro. Se si tiene conto del costo della vita, vuol dire che quel laureato oggi guadagna meno (-1 %) di quattro anni fa.
Meglio è andata invece ai diplomati professionali che sono passati da poco più di 19 mila euro a 21.817 euro, ovvero il 5,9 % in più al netto del costo della vita.

Il differenziale di crescita a favore dei diplomati si spiega con il fatto che i laureati scontano sempre di più il processo di apprendimento attraverso il quale devono passare quando entrano nelle imprese. Hanno studiato di più, questo è vero, ma quando entrano in azienda si trovano coinvolti in un iter per capire come funziona l’azienda che può durare anche a lungo. Così finisce che l’azienda tende a riconoscere di più al diplomato perché è già produttivo e in qualche modo ha scontato con uno stipendio inferiore il suo ingresso sul mercato del lavoro.

Ma non solo.

A incidere è anche il fatto che il sistema produttivo italiano dominato dalle piccole e medie imprese pare assetato soprattutto di diplomati e dei laureati quasi non sa cosa farsene!

Allora,una soluzione potrebbe essere quella di laurearsi prima... Purtoppo no!
Se si guarda ai più giovani, ovvero agli “under 24” le cose vanno un poco meglio. I laureati giovanissimi hanno visto crescere lo stipendio in termini reali quasi del 4 %. Ma sempre meglio è andata ai ragazzi e alle ragazze uscite dagli istituti professionali che dal 2003 a oggi hanno visto crescere la paga del 21 %.

Dal punto di vista territoriale si scopre che al Sud le retribuzioni dei giovani con un’età tra 24 e 30 anni sono cresciute del 7,8 per cento mentre al Centro si è fermata al 2,8 per cento e al Nord Ovest.

In termini di settori, le imprese che pagano meglio i giovani sono quelle che operano nel credito e nell’assicurativo. Qui la paga nel 2006 tocca i 24.809 euro lordi l’anno. Ma le imprese dove le retribuzioni hanno mostrato una maggiore dinamica negli ultimi anni sono quelle attive nella comunicazione, spettacolo e sport.

In conclusione...

Sembra quasi che, per le imprese, tra laureati e diplomati non ci siano differenze... Tanto che non sono pochi i laureati che a un colloquio di lavoro hanno smesso di raccontare la verità sul percorso di studi. Meglio non dire della laurea. Le aziende quasi si spaventano...!

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