mercoledì 20 febbraio 2008

Il Far West dei derivati...


La bolla italiana dei derivati rischia di far saltare migliaia di imprese in un anno di crisi economica mondiale. E in una situazione di caos nazionale, con una giustizia divisa e un sistema di controlli che gli esperti continuano a giudicare inadeguato. Le aziende italiane esposte con questi contratti finanziari ad altissimo rischio (vere e proprie scommesse, per lo più sui tassi di cambio o d'interesse) sono ben 29.195 e per due terzi sono piccole o piccolissime. In compenso le loro perdite hanno raggiunto i 4 miliardi e 910 milioni di euro.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dalla Banca d'Italia (contratti analizzati al giugno 2007) le imprese danneggiate rappresentano tutti i settori, dall'edilizia ai servizi, tutte le regioni, dal Nord-Est alla Puglia, e tutti gli ordini di grandezza. La casistica va dalle oltre 6 mila imprese individuali o familiari con meno di un milione di affidamento bancario, fino alle 9.745 grandi aziende con migliaia di fornitori e dipendenti. Proprio l'eterogeneità dei settori colpiti è la prima anomalia. È il segno più evidente che c'è stata una massiccia campagna di distribuzione di derivati, non focalizzati sulle specifiche esigenze di copertura del rischio del singolo cliente della banca. Senza contare che le perdite sono raddoppiate anche quando i tassi sono andati in controtendenza.

...E allora che copertura era?.

Secondo Lannutti - ex bancario diventato paladino dei risparmiatori con la sua Adusbef - il caso italiano è il riflesso di un Far West planetario. "Le più grandi banche internazionali hanno spacciato derivati per importi pari a dieci volte il Pil mondiale. È un sistema senza regole e senza controlli che ha dato ai signori della finanza una sorta di licenza di battere moneta falsa. E ora c'è la recessione".

Una classifica: Unicredit ha fatto la parte del leone nel mercato italiano dei derivati: secondo il centro studi del Sole 24 Ore, nel giugno scorso il primo gruppo italiano vantava controvalori per 15,4 miliardi di euro ed era seguito a distanza da Intesa-San Paolo (4,7 miliardi) e Montepaschi (1,1). Al quarto posto, prima della bufera giudiziaria, c'era Italease, con 700 milioni ora trasformati in perdite: una banca molto meno grande, che aveva costruito tutta la sua rapidissima crescita proprio sui derivati.

Anche se le banche cambiano, le storie dei danneggiati si somigliano e il nodo di fondo è un difetto di sistema: la mancanza di un'adeguata informazione sui rischi.

Alcuni casi, se non fossero documentati, sembrerebbero barzellette.
Nel Nord-est c'è una banca regionale che ha fatto firmare l'autocertificazione di essere "operatore qualificato", cioè un vero esperto di alta finanza, a "due artigiani con la quinta e la terza elementare". Un piccolo industriale accusa un'altra banca veneta: "Minacciando di tagliarmi i fidi, hanno intestato derivati complicatissimi a mia mamma, che ha quasi 80 anni ed è casalinga". L'antologia comprende "derivati sullo yen venduti a un elettricista che non esportava nulla in Giappone". E perfino "un cliente nel pollaio". "Era disperato", ricorda Benini: "Fatturava 40 mila euro e stava perdendo mezzo milione. Il suo ufficio era una roulotte, per cui mi consegnò i derivati in mezzo al cortile, su un tavolone di legno, con galli e galline che ci passavano tra i piedi".

Che dire... Toccherà ai giudici valutare eventuali colpe della banca nei vecchi e nuovi casi.

Bye

Fonte: Sole 24 Ore

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