martedì 23 ottobre 2007

I giovani guadagnano il 35% in meno dei padri...

Ebbene si...

I giovani cominciano, come è normale che sia, con uno stipendio più basso ma non hanno poi modo, andando avanti con gli anni, di recuperare con aumenti di salario. Nel 2002 gli stipendi d'ingresso sono così tornati a vent'anni prima, diminuendo del 35%.

Il quadro sulla situazione dei salari emerge da uno studio della Banca d'Italia, dal titolo "Il divario generazionale: un'analisi dei salari relativi ai lavoratori giovani e vecchi d'Italia".

«Il salario dei lavoratori dipendenti più giovani si è ridotto negli anni Novanta rispetto a quello dei lavoratori più anziani. In particolare, il calo del salario d'ingresso non è stato controbilanciato da una carriera e, quindi, una crescita delle retribuzioni più rapida. La perdita di reddito nel confronto con le generazioni precedenti risulta dunque in larga parte permanente», sottolinea lo studio, osservando come «in un quadro di moderazione salariale», come quello degli ultimi anni, sembra che «l'aggiustamento delle retribuzioni sia stato asimmetrico e abbia penalizzato maggiormente le prospettive dei lavoratori neoassunti rispetto a quelle dei lavoratori impiegati».

Alla fine degli anni Ottanta le retribuzioni nette medie mensili degli uomini fra i 19 e i 30 anni «erano del 20% più basse di quelle degli uomini fra i 31 e i 60 anni. Nel 2004 la differenza era quasi raddoppiata in termini relativi, salendo al 35%», osserva lo studio, mettendo in evidenza che un andamento simile è osservato anche per le retribuzioni orarie, «che non risentono della crescente diffusione del lavoro part-time, ed è riscontrabile a tutti i livelli di istruzione».

La dinamica del differenziale generazionale riflette il «declino dei salari d'ingresso, presumibilmente connesso ai mutamenti della legislazione sul mercato del lavoro».

Per favorire il calo del tasso di disoccupazione tra i giovani, infatti, negli anni passati è stato introdotto un nuovo tipo di contratto che ha consentito alle imprese di pagare meno i neoassunti, come «compensazione per gli obblighi di training» dei giovani.

Gli autori dello studio stimano che «nel decennio 1992-2002 il salario mensile iniziale sia diminuito di oltre l'11% per i giovani entrati sul mercato del lavoro fra i 21 e i 22 anni, presumibilmente diplomati (da 1.200 euro mensili a meno di 1.100 euro); il calo è dell'8% per i lavoratori fra i 25 e i 26 anni, potenzialmente laureati (da 1.300 a 1.200 euro mensili). per entrambe le classi di età, i salari d'ingresso, sono tornati nel 2002 ai livelli di 20 anni prima».

A rendere ancora più evidente il divario generazionale, anche in termini previdenziali oltre che di busta paga, sono poi intervenute le riforme delle pensioni. «I giovani lavoratori sembrano dover sopportare elevati contributi sociali e alte tasse, un rallentamento della crescita dei salari reali e una bassa copertura pensionistica, insieme a una carriera instabile.

Questo è abbastanza - conclude lo studio - per giustificare crescenti preoccupazioni, anche in presenza di una crescita dell'occupazione».

...Un'analisi che rende giustizia a quei giovani che, definiti "bamboccioni" dal ministro dell'Economia, con una battuta ritenuta dai i più infelice, spiegherebbe il perché i ragazzi non ce la fanno economicamente a staccarsi dalla famiglia d'origine.

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