venerdì 27 luglio 2007

Scatole, patti e scalate

La vicenda Telecom ha avviato un intenso dibattito sul governo delle società quotate italiane.

Gli interventi si sono concentrati attorno a tre punti critici:
a) presenza di gruppi piramidali e scatole cinesi,
b) controllo tramite patti di sindacato,
c) debolezza della normativa sull’Opa.
Sono intervenuti sia il Parlamento, con una proposta di disegno di legge depositata al Senato, sia il presidente della Consob. Seppur con toni diversi, ambedue gli interventi riconoscono che la struttura di gruppo e i patti di sindacato creano problemi sia sul fronte della contendibilità delle società sia su quello della tutela delle minoranze: il mercato da solo e gli attuali strumenti di tutela delle minoranze non sono sufficienti.

Problemi.

Si è osservato, a ragione, che i gruppi si sono progressivamente ridotti e che le scatole cinesi (società esclusivamente finanziarie) sono quasi scomparse: eppure esse presidiano il controllo di pezzi importanti del capitalismo italiano (Fiat, Pirelli, Espresso, Italcementi, eccetera) e rispuntano all’occorrenza (come nel caso Telecom). Anche l’argomento secondo cui la Borsa avrebbe chiuso i rubinetti non permettendo la loro quotazione convince solo in parte: scatola cinese si diventa dopo la quotazione e non si nasce, come accadde alla Olivetti con Telecom. Sul fronte dei patti di sindacato l’evoluzione è negativa: oramai un quarto del listino è governato da patti di sindacato, che nella maggioranza dei casi si occupano della gestione dell’impresa (fanno il mestiere del cda). Infine, negli ultimi anni non si osservano segni di maggiore contendibilità delle società quotate.
I problemi dunque esistono: vediamo come si potrebbe risolverli.

Soluzioni possibili

Scatole cinesi. Occorre distinguere i gruppi piramidali dalle scatole cinesi. Nel primo caso, una società quota in Borsa una sua controllata operativa (è il caso di Generali con Banca Generali e Alleanza), nel secondo caso si viene a costruire una catena di società, a monte della quale ci sono società puramente finanziarie. Siamo di fronte a una libera organizzazione dell’attività produttiva che può avere
- una motivazione virtuosa (quotare una società per permetterle di reperire risorse per finanziare la crescita)
- una motivazione opportunistica: controllare una società con poco capitale. Questo secondo tratto è tipico delle scatole cinesi piuttosto che dei gruppi piramidali. Nel controllo tramite scatole cinesi, e in minor misura nella struttura di gruppo, si annidano anche conflitti di interesse.

Si argomenta che le scatole cinesi sono un modo - come i patti di sindacato e le azioni risparmio - per separare proprietà e controllo. È vero: ma rispetto a questi strumenti, la loro portata in termini di leva tra diritti di voto e di controllo è deflagrante.
Si deve provare a disincentivare il ricorso alle scatole cinesi e non ai gruppi piramidali indistintamente.
La disincentivazione può avvenire:
- con la minaccia di sterilizzazione dei diritti di voto;
- rafforzando la trasparenza su operazioni in conflitto di interessi.
La seconda strada è preferibile in quanto è difficile distinguere una scatola cinese da un gruppo piramidale. L’azione proposta da Consob tuttavia deve essere invasiva e sostanziale e non meramente formale, come spesso si sono rivelate le proposte a tutela delle minoranze.

Patti di sindacato. Sono espressione della libera organizzazione degli azionisti, abolirli è impresa ardua. Bisogna però evitare che si occupino della gestione delle imprese esautorando gli organi preposti (cda e assemblea) e arrecando potenzialmente un danno agli azionisti di minoranza. Si deve disincentivarli imponendo vincoli forti di trasparenza sul loro operato e sulla loro relazione con il cda, requisiti di trasparenza e indipendenza sull’operato dei cda in presenza di fumus di conflitto di interesse. Non ci si può limitare a provvedimenti formali.

Opa. Ogni norma in materia di scalate di borsa si trova a perseguire due diversi obiettivi che sono in contrasto tra loro:
- tutelare l’azionista di minoranza;
- favorire la contendibilità delle imprese.
Una soglia bassa per il lancio dell’Opa obbligatoria (sulla totalità delle azioni) tutela gli azionisti di minoranza che partecipano al premio di maggioranza, ma limita la contendibilità delle imprese in quanto rende molto onerosa l’operazione passaggio di controllo e non sono possibili i passaggi di controllo surrettizi (sotto la soglia). La direttiva europea ha introdotto uno sbilanciamento a favore degli azionisti di minoranza prevedendo che l’Opa obbligatoria sia lanciata al prezzo massimo a cui lo scalatore ha acquistato i titoli: la regolamentazione precedente, con un prezzo pari alla media ponderata tra quello degli acquisti e quello di mercato, rendeva invece conveniente l’operazione. A seguito della nuova normativa è facile attendersi un aumento di operazioni sotto il 30% con passaggi di pacchetti azionari che permettono di esercitare il controllo. Per contrastarli si potrebbe abbassare la soglia dell’Opa dal 30 al 20% per le imprese a maggiore capitalizzazione favorendo al contempo la contendibilità delle società attraverso incentivi all’utilizzo dell’Opa preventiva parziale (strumento poco utilizzato nei fatti per i vincoli imposti).
Occorre anche rafforzare la vigilanza sugli acquisti di ‘‘concerto’’ e sulle operazioni che coinvolgono l’utilizzo di derivati.

In conclusione i problemi esistono; interventi di tipo regolamentare, piuttosto che per legge, sono preferibili, ma debbono essere efficaci e non solo formali. Appellarsi all’agire del mercato, che opera con tempi lunghi, e al ‘‘mito’’ della tutela degli azionisti di minoranza, non basta più.

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