venerdì 8 giugno 2012

...Fuga da Wall Street?



L’Ipo più attesa del decennio doveva riaccendere l’amore degli investitori per Wall Street, invece le ha dato un altro colpo. Il debutto in Borsa di Facebook con una valutazione superiore ai 100 miliardi di dollari ha bruciato quel po’ di fiducia rimasta nel mercato azionario americano, soprattutto dopo la rivelazione che alcune banche d’affari curatrici dell’offerta pubblica davano in privato, solo ai clienti privilegiati, un parere meno entusiasta sulle sue prospettive.

La delusione per il flop di Facebook - le cui quotazioni sono crollate di quasi un quarto nei primi cinque giorni di scambi - ha spinto ancora più risparmiatori ad abbandonare la Borsa: i riscatti dai fondi azionari Usa hanno raggiunto i 3 miliardi di dollari nella settimana dell’Ipo di Facebook, il dato peggiore degli ultimi mesi. E la perdita del 6,2% dell’indice Dow Jones in maggio non migliora l’umore del mercato.
«Le azioni sono morte?», si è chiesto il Financial Times in prima pagina. E la domanda è rimbalzata sulle piazze finanziarie di qua e di là dell’Atlantico. La risposta unanime è che a morire è stato il culto delle azioni, perché nessuno sembra più credere alle statistiche per cui la Borsa nel lungo termine rende più delle obbligazioni. Non importa se dal 1900 al 2010 le azioni americane hanno battuto l’inflazione di 6,3 punti percentuali l’anno contro l’1,8 offerto dai bond, come mostra uno studio della London business school citato dal FT. Così oggi i risparmiatori corrono a comprare i titoli di Stato Usa decennali che rendono l’1,5%, cioè meno del tasso d’inflazione (2,3%) e meno del 2% di rendimento medio delle azioni (il rapporto fra dividendo e prezzo).

Non c’è accordo invece su che cosa può succedere d’ora in poi: secondo alcuni questo disamoramento di massa per Wall Street sarebbe un segnale contrarian, l’indicazione dell’imminente partenza di un nuovo grande rally azionario; secondo altri l’attuale clima andrà avanti a lungo a causa di fattori indipendenti dalla Borsa, in particolare per la repressione finanziaria esercitata dai governi e per le dinamiche demografiche.

La fuga da Wall Street è in atto già da tempo: dal 2006 a oggi i fondi azionari americani hanno perso 473 miliardi di dollari (saldo netto fra sottoscrizioni e riscatti), mentre quelli obbligazionari hanno incassato 1.042 miliardi netti. La fiducia nella correttezza ed efficienza del mercato è stata scossa nell’ultimo decennio dallo scoppio di due grandi Bolle, quella delle dot.com nel 2000 e quella immobiliare nel 2007-2008; due crolli di Borsa superiori al 50% e da una serie di scandali e bancarotte aziendali impressionanti, dalla Enron nell’ottobre 2001 alla Lehman Brother nel 2008, per citarne solo due. Non stupisce allora sapere che la quota delle famiglie americane con investimenti in azioni diretti o indiretti (attraverso fondi o altri prodotti) è scesa dal 53% nel 2001 al 46,4% nel 2011 secondo l’ultimo sondaggio dell’Investment company institute, l’associazione dei gestori di fondi Usa; e oggi solo il 15% degli americani si fida di Wall Street, secondo l’Indice della fiducia finanziaria elaborato dalle scuole di business Chicago Booth/Kellog.
E non è una tendenza in atto solo fra i risparmiatori. Anche gli investitori istituzionali hanno ridimensionato drasticamente il loro portafoglio azionario: era fino al 70% del patrimonio dei fondi pensione americani e britannici dieci anni fa, ora è attorno al 40% in Gran Bretagna e poco sopra il 50% negli Usa. Su di loro pesa non solo la paura di non raggiungere gli obbiettivi di rendimento prefissati, ma anche la pressione delle autorità politiche e monetarie a investire in titoli emessi dai governi, che hanno disperato bisogno di finanziare i loro crescenti debiti.

Gli ottimisti fanno notare che «La morte delle azioni» era stata annunciata già 33 anni fa, sulla copertina di BusinessWeek del 13 agosto ’79: poco dopo sarebbe partito un formidabile rialzo durato 20 anni, con rendimenti annui composti del 17,5% negli Anni ’80 e del 18,2% nei ’90.
Auspicano quindi che il fenomeno si ripeta…
 
Bye!


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Fonte: CorriereEconomia

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